LETTERE
«Bresciaoggi» ha pubblicato articoli e lettere che riportano il punto di vista parziale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia sulle complesse vicende avvenute al confine orientale dell’Italia tra le due guerre mondiali. E’ come se si raccontasse Genova 2001 solo con le violenze delle forze dell’ordine nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz, ignorando le devastazioni dei Black Block; o si parlasse della guerra in Iraq dimenticando le bugie di George Bush e le false fotografie esibite all’Onu da Powell. Per quanto riguarda l’italianità dei profughi giuliano-dalmati, vorrei riferire quanto più volte mi ha ripetuto un amico bresciano: suo padre, esule da Pola nel 1946, si rivolgeva alla moglie con la parola croata «gospodica» e alla madre chiamandola «mutter» in tedesco.
In quelle zone, multiculturali fino alla fine dell’Impero austro-ungarico, l’italianità era stata violentemente imposta dal regime fascista: nel ventennio con la bonifica degli «allogeni» e poi, durante la seconda guerra mondiale, con campi di concentramento per civili e pulizie etniche. Come si fa a parlare di «cessioni di quei territori» a Tito? Quei territori sono stati persi dopo una guerra fatta dal fascismo, alleato al nazismo, che ci ha portato nel 1945 ad una disfatta militare, morale e territoriale. Mi sembra che si stia tentando di imporre con tecniche propagandistiche l’equazione: partigiani di Tito uguali ai nazisti. Insomma, un revisionismo
storico che salta il periodo fascista perché impresentabile e recupera acriticamente la propaganda nazi-fascista. Nella nostra città ci sono storici e istituti in grado di fare una ricerca seria e produrre una mostra scientifica: perché non avviare uno studio approfondito su quelle vicende? Perché non uscire dalle polemiche propagandistiche e dalle rivendicazioni territoriali antistoriche ed, invece, analizzare i fatti nella loro complessità ammettendo anche le responsabilità degli italiani che gli storici stanno mettendo in luce?
Pier Luigi Fanetti, Brescia
