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Quel fascino oscuro dell’abisso, anche in una canzone (Il Piccolo 13 mag)

Da ”Le foibe giuliane” di Elio Apih pubblichiamo l’inizio del saggio inedito dello storico triestino, per gentile concessione della Leg-Libreria Editrice Goriziana.

di ELIO APIH

«Abissus abissum invocat». Di per sé la voragine (tale è la “foiba”) trasmette l’impulso alla morte, precipitazione nell’orrido. «L’abisso attira… Non c’è forse nessuno che non abbia provato l’attrazione dell’abisso…» ha scritto l’austriaco Franz Werfel. Ma pare assai più pertinente un’osservazione di Friedrich Wilhelm Nietzsche: “Se guardi entro l’abisso, l’abisso guarda dentro a te”; guardando il male, l’orrido, lo si assorbe, si può solo respingerlo e rifiutarlo. Egli si riferisce alla pulsione suicida che può sprigionare il vuoto abissale, ma questa è anche omicida. Ne esiste qualche traccia letteraria: ripetutamente è stata ricordata una canzonetta istriana, di Pisino, dove appunto scorre il torrente “Foiba”, quale primo incitamento a “infoibare”: «La musa istriana ha chiamato la Foiba degno posto di sepoltura per chi, nella provincia, minaccia con audaci pretese la caratteristica nazionale dell’Istria… La foiba ze a Pisin / che i buta zo in quel fondo / chi ga certo morbin. / E a chi con zerte storie / fra i piè ne vegnerà…”. Il testo è stato recentemente segnalato pure in Spazzali, da G. Fontanot. Si tratta di una canzonetta presentata, all’inizio del secolo, ad un concorso della Lega Nazionale (associazione patriottica e nazionale italiana, molto attiva nella Venezia Giulia), testimonianza letteraria di un sentimento di ostilità, espresso un po’ scherzosamente, ma con un sottofondo meno scherzoso (?), benché ciò si dica in retrospettiva, post-1945, prima mai. Cattiva letteratura, anche se popolare, certo; ma naturalmente non è nella letteratura la matrice dei fatti di “infoibamento”.

Cerca di analizzare in profondità questa tensione della psiche Carlo Sgorlon, nel romanzo ”La foiba grande” (1992). La avverte come rapporto coi misteri terrificanti dell’ipogeo; l’analisi risente, evidentemente, della riflessione sui fatti storici del 1943-45 e sulle emozioni connesse (ma la dimensione su cui poggia l’analisi tende all’atemporale, all’individuazione di una struttura psichica perenne): «Nei discorsi di Partenija tendeva a risorgere e a prendere corpo l’Istria nera e notturna, misteriosa, non bene esplorata, legata a fenomeni carsici, alle grotte e alle foibe. Gli altri invece quelle cose tendevano piuttosto a dimenticarle, forse perché negli inghiottitoi si buttava la roba che si voleva eliminare, togliere per sempre dalla vista e magari anche dalla memoria. Perciò, ad esempio, il male e il peccato connessi, nella gente istriana, si collegavano con facilità alle gole delle foibe».

 

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