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“Kaschmann Signore delle scene”, in volume la storia del baritono lussignano – 14mar13

Un lavoro certosino e paziente, quello che ha dato corpo al volume “Giuseppe Kaschmann Signore delle scene”, curato da Giusy Criscione ed edito dalla Comunità di Lussinpiccolo / Associazione delle Comunità Istriane (Trieste 2012, pp. 406, s. i. p.), nel quale hanno trovato collocazione ed ordine i molti materiali documentari del grande baritono lussignano che la vulgata croata contemporanea ha “tradotto” in Kašman per aggiungerlo alle glorie patrie.

La stesura del corposo saggio è proceduta contestualmente alla donazione, da parte della famiglia Stuparich, in particolare della signora Giovanna, ultima figlia del grande scrittore istriano, della documentazione e dei cimeli del baritono al Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Trieste, dove hanno trovato definitiva e adeguata sede. Materiali che gli Stuparich, legati da vincoli di parentela al cantante d’opera, avevano ricevuto dalla figlia di Kaschmann, Bianca, benché – come ricorda la curatrice nelle sue “Note” – a causa dei disordini provocati dalla seconda guerra mondiale molto materiale è andato perduto.

Ma fortunatamente non abbastanza da non testimoniare, con ricchezza di documenti e di immagini e di oggetti, una sfolgorante carriera internazionale iniziata con il debutto a Regio di Torino per approdare negli anni successivi nei teatri d’Europa, Russia, delle Americhe: «stile classico ed espressione moderna» fu il giudizio unanime dei critici, che ne rimarcarono «una gamma vastissima di mezze tinte, oltre che di estensione, robustezza, resistenza», come ha ricordato Giorgio Gualerzi nel suo contributo.

Nato nel 1850 a Lussinpiccolo, era, per madre Eugenia Ivancich, figlia benestante di capitani e armatori, e particolarmente da lei assorbì i forti sentimenti di italianità che più tardi gli sarebbero costati il divieto, da parte delle autorità di Vienna, di esibirsi nei territori dell’impero austro-ungarico. Nel suo apprendistato musicale fu aiutato dal fratello maggiore, Venanzio, un medico appassionato di canto, grazie al quale poté studiare a Udine mentre la madre non avrebbe visto di buon occhio la prospettiva di avere un figlio «teatrante», per quella diffusa opinione del tempo che immaginava gli artisti uomini senza Dio e senza moralità.

Il debutto al Teatro dell’Opera di Zagabria, nel 1870, fu accolto con entusiastico favore dai giornali zagabresi, già intenti a quell’epoca a rivendicarne la nascita in terra croata. Ma il vero debutto egli lo ebbe al Teatro regio di Torino nel 1875 ne “La favorita” di Donizetti, e da lì a Venezia, a Trieste, a Roma, alla Scala di Milano i passi furono brevi. Nel 1878 venne richiamato dalle autorità militari austriache per prestare servizio nella mobilitazione di truppe dell’impero nella Bosnia-Erzegovina, ma non fece rientro a causa di una indisposizione non riconosciuta dal Comando del suo reggimento che gli costò l’accusa di diserzione: decaduta appena nel 1909 quando venne promulgata un’amnistia generale.

Stabilitosi a Milano, ottenne la cittadinanza italiana, e dunque il passaporto che ne comprova l’incontestabile nazionalità. Dal 1880, ormai acclamato baritono, intraprese la sua carriera all’estero, della quale il volume di Giusy Criscione dà puntuale e cospicua documentazione iconografica e cronachistica. Del 1883 è il debutto alla Metropolitan Opera House di New York con “Lucia di Lammermoor”, dell’anno successivo il trionfo al San Carlo di Napoli, del 1887 la prima tournée in Sud America, sino all’apoteosi – è il caso di dirlo – a Bayreuth nel 1892 e ’94 interprete di Wagner nel tempio della sua musica. La padronanza di ben sette lingue permise a Kaschmann di cantare in tedesco, «primo – ne scrisse il Celletti – ad essere sensibile alle esigenze d’un cambiamento del repertorio».

Dalla Germania a San Pietroburgo a Mosca, alla Spagna e al Portogallo all’Egitto, tra fine Ottocento e primi Novecento il baritono si cimentò in un genere musicale piuttosto trascurato a quel tempo, quello dell’oratorio, il che gli permise di “riscoprire” autori di grande statura come Claudio Monteverdi e Domenico Cimarosa.

Rientrato presumibilmente per l’ultima volta a Lussino nel 1924, Kaschmann si stabilì a Roma con la figlia Bianca, avendo perduto la moglie Emma nel 1918. La sua salute iniziò a declinare nel 1922, la morte sopravvenne nel febbraio 1925. Una storia collaterale è quella del busto che i lussignani gli vollero dedicare nel 1927 a Lussinpiccolo, scomparso con l’avvento del comunismo jugoslavo e rinvenuto negli anni Sessanta, quindi restaurato e fuso in bronzo da uno scultore croato e dedicato a Josip Kašman, completato da una stella rossa sulla fronte. Successivamente la stella rossa è scomparsa, e il busto è posizionato nel piccolo giardino antistante la Chiesa di Sant’Antonio, sulla Riva di Lussinpiccolo.

È molto probabile, come scrive la curatrice del volume, che oggi quasi nessuno sappia chi fosse quel personaggio che fu udito cantare a Roma dall’imperatore Francesco Giuseppe, che ne apprezzò molto le doti interpretative ma non volle intervenire per annullare con la sua autorità l’accusa infamante di diserzione. Il saggio di Giusy Criscione, così come la donazione della famiglia Stuparich al Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”, consegna al lettore contemporaneo la storia di un personaggio e di un intero ambiente culturale e civile obliati dalla storia postuma di conflitti e di esodi.

© ANVGD nazionale

 

 

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