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Perché ricordare? (Voce del Popolo 10 feb)

di Ezio Giuricin

Perché ricordare?

A quasi sei anni dall’istituzione, in base alla legge 92 del 30 marzo del 2004, della Giornata del Ricordo in memoria delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale, è giunto forse il momento di tracciare un primo bilancio dell’iniziativa. Le numerose iniziative promosse in questo periodo hanno contribuito ad allargare il livello di consapevolezza, in Italia, su un capitolo della storia del confine orientale – e di conseguenza una parte di storia nazionale –, che erano stati lungamente rimossi.

È stata riattivata la curiosità, soprattutto tra i giovani, nei confronti di un tema che per oltre mezzo secolo, a causa delle sue scabrose implicazioni politiche, era stato considerato un “tabù”, un argomento ostico e imbarazzante, una pagina da dimenticare.

Ma se molto è stato fatto, tanto ancora resta da fare per realizzare pienamente gli obiettivi della Legge, approvata con l’ampio consenso di tutte le forze politiche.

Vi è ancora un lungo percorso da compiere sul piano della “condivisione” nazionale e di una “presa di coscienza” collettiva del fenomeno dell’esodo e delle foibe. Uno degli obiettivi della Legge, se non l’obiettivo principale, è senz’altro quello di trasformare il ricordo di pochi, l’esperienza storica di una piccola parte della Nazione, in un patrimonio condiviso da tutto il Paese; fare sì che la collettività nel suo insieme si appropri, finalmente, e consideri sua, una pagina di storia colpevolmente rimossa.

L’informazione e la conoscenza – settori nei quali grazie alla Legge sono stati recuperati gravi ritardi –, non bastano. Se si guarda all’obiettivo fondamentale – la condivisione di un patrimonio, la sua elevazione a valore collettivo –, l’attenzione deve essere spostata oggi sulla “qualità” del messaggio: sulla capacità dunque di attrarre e persuadere – per la valenza, l’obiettività e la portata dei temi proposti –, la società civile nel suo insieme, a prescindere dalle convinzioni culturali e dagli schieramenti politici.

La colpevole rimozione del dramma dell’esodo dall’identità collettiva degli italiani ha prodotto in questi anni, tra gli altri innumerevoli guasti, anche quello della “chiusura” delle memorie e della loro “ghettizzazione”. La narrazione e la valorizzazione di questa drammatica esperienza storica spesso sono diventate – a causa della colpevole distrazione dell’opinione pubblica –, una “questione di parte”. Il dramma dell’esodo e delle foibe non è né di “destra”, né di “sinistra”; deve diventare un valore per tutti.

Non basta dunque che un giorno all’anno qualcuno pubblichi un libro, produca un film, una trasmissione, realizzi un progetto culturale, e che ci si accontenti di contenuti mediocri, poco appetibili o non accurati dal punto di vista scientifico, professionale, culturale. Un errore madornale sarebbe quello di avallare contenuti non obiettivi, messaggi “di parte” (di qualunque “parte” si tratti), o di trasmettere conoscenze e informazioni senza curarci della loro qualità intrinseca, del loro peso artistico e culturale, del loro significato civile.

Non basta imporre per legge determinati valori; è necessario che dietro a questi vi sia l’autorevolezza civile e la qualità culturale di un messaggio in grado di giungere a un numero quanto più vasto di persone.
La Giornata del Ricordo va liberata dai pesi e dai pregiudizi del passato, dagli steccati del presente, per trasformarla in un possente strumento di crescita della coscienza collettiva degli italiani (oltre che di tutti i cittadini di queste terre); in un’occasione di confronto civile e di condivisione – culturale ed umana –, di una delle pagine più tragiche della nostra storia. Il ricordo non può e non deve imprigionarci, dalla presa di coscienza della nostra storia e delle nostre esperienze, collettive ed individuali, dobbiamo trarre la forza per diventare più liberi.

Se in Italia sono stati compiuti dei progressi sul piano della conoscenza delle vicende dell’esodo e delle foibe, nulla o molto poco è stato ancora fatto in Slovenia e Croazia. L’interpretazione dei fatti storici in molti casi è ancora soggetta ad interpretazioni unilaterali; nelle società slovena e croata è ancora presente una sistematica e diffusa strategia di “rimozione” di quei difficili capitoli. Un “rigetto” che spesso si trasforma nella rivendicazione di memorie, di eventi, di celebrazioni opposti e contrastanti: le memorie così finiscono per contrapporsi e negarsi a vicenda.

Dall’impianto della legge dovrebbero scaturire idee e proposte tese a far capire anche ai non italiani che l’esigenza di ricordare i tragici eventi del dopoguerra non è sorta per far torto a qualcuno, per negare le identità o i ricordi, altrettanto complessi o dolorosi, degli altri, ma per affermare un comune traguardo di civiltà, dei valori democratici e di umana “pietas” che possono trovare la loro vera sostanza nel rispetto e nell’ascolto dell’altro. Qualcuno deve fare responsabilmente il primo passo nella direzione del dialogo, per costruire uno spazio in cui ci sia posto per le memorie di tutti, e la possibilità di un reciproco riconoscimento dell’identità plurale di queste terre.

La Giornata del Ricordo racchiude indirettamente un altro fine fondamentale: quello di dare una risposta civile e storica – attraverso la conservazione e la continuità della presenza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia –, al “vulnus” causato dallo sradicamento di una comunità.

Perché ricordare: è questa, forse, la principale domanda che ci dobbiamo porre oggi. Lo dobbiamo fare per trasmettere agli altri la memoria delle sofferenze che hanno stravolto il destino di un popolo.
Ma il dovere del ricordo dovrebbe avere anche un altro significato: quello di cercare di riannodare, trasmettendo dei valori agli altri, i fili spezzati della storia: di dare un futuro a un popolo diviso, ad una comunità pesantemente segnata dallo sradicamento e dall’abbandono.

Dalla Giornata dunque dovremmo trarre anche un forte messaggio di unità e di ricomposizione: di unità all’interno del mondo degli esuli e tra le membra sparse degli italiani di queste terre, e di ricomposizione, umana, culturale e politica tra gli “andati” ed i “rimasti”. Ricordare vuole dire proprio questo: non rinserrarsi nella prigione del risentimento, ma trovare nel confronto con il nostro passato la forza per interrogarci sul domani, e coglierne le nuove, difficili sfide.

Solo superando le divisioni riusciremo a scongiurare la peggiore perdita, la più beffarda delle sconfitte: la scomparsa della presenza italiana in queste terre, la cesura definitiva della continuità storica di una civiltà secolare.
Dobbiamo immaginare un nuovo grande progetto comune in grado di creare sbocchi e possibilità di sviluppo sociali, economiche e culturali per le nuove generazioni degli esuli e della minoranza.
Il ricordo, la valorizzazione del patrimonio civile e culturale degli italiani dell’Adriatico orientale deve potersi trasformare in speranza. Per fare sì che tra qualche decennio vi possa essere ancora qualcosa, o qualcuno da ricordare.

 

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