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Luxardo: Zara, quella barbarie che non dimentico (Avvenire 10 feb)

A Zara non c’erano le foibe, le profonde ca­vità di origine carsica, ma c’era il mare, co­sì le purghe di Tito avvenivano per anne­gamento, con una pietra al collo. E il grande eso­do dei 350mila partì proprio da Zara, capoluogo della Dalmazia, che già nel 1943 si svuotò in pochi mesi, quando 24mila dei 25mila abitanti fuggiro­no. Per gli altri fu la mattanza. «Mio zio Nicolò, in­dustriale molto in vista e ultimo deputato di Zara italiana, fu annegato, mia zia Bianca venne fucila­ta da una partigiana croata sulla stessa barca», rac­conta Franco Luxardo, 74 anni, tuttora proprieta­rio dello storico marchio di liquore Maraschino e sindaco del 'Libero Comune di Zara in esilio' con i suoi 20mila 'abitanti' nel mondo.

Solo suo padre si salvò, in famiglia?

Sì, perché anche il fratello Pietro, direttore di pro­duzione in azienda, sparì nel nulla, esattamente come cen­tinaia di altri zaratini.

Un genocidio vero e proprio.

Con l’intento dichiarato di de­italianizzare la città. Una bar­barie paradossale, al punto che un anno dopo aver affo­gato mio zio il 'tribunale croa­to' lo accusò di non aver ri­sposto all’invito di compari­zione e per questo lo con­dannò all’impiccagione…

Zara in realtà subì di tutto, co­me città.

Prima dell’arrivo dei titini, per un anno intero fu bombarda­ta ben 54 volte dagli anglo­americani, loro alleati. La città, un gioiello di architettu­ra veneta, andò in briciole. Poi, finite le bombe, dopo l’8 settembre del ’43 iniziarono i rastrellamenti. Per fortuna io, che avevo 7 anni, e­ro in Valsugana per motivi di salute e mi salvai.

A differenza di Pola e Fiume, Zara non esiste più. Lei è sindaco di una città fantasma…

Io, che non avevo vissuto il travaglio della fuga, vis­si lo choc del ritorno. Era il 1965 e avevo 30 anni quando rividi Zara, e della mia città restava solo il cimitero.

Oggi che rapporti ha con l’«altra» Zara?

Decisamente buoni con la città fisica, dove ormai torno regolarmente e dove come Comune in esi­lio abbiamo stimolato la rinascita di una comunità locale di italiani. Prima stavano nascosti per pau­ra, perché il governo jugoslavo non ne riconosce­va l’esistenza: nel censimento del 1991 a Zara si sono dichiarati italiani 13 coraggiosi, oggi, dopo 20 anni, c’è una fiorente comunità di 500 iscritti, di cui andiamo molto fieri.

Tra le due Zara c’è un ponte ideale, dunque.

Pensi che qualcuno degli esuli fa traslare le cene­ri dei propri vecchi laggiù. Quanto alle future ge­nerazioni, stiamo trattando per aprire un asilo i­taliano a Zara. Sarebbe un simbolo fortissimo: l’ul­tima scuola italiana l’hanno chiusa nel ’53.

(L. Bell.)

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