A Zara non c’erano le foibe, le profonde cavità di origine carsica, ma c’era il mare, così le purghe di Tito avvenivano per annegamento, con una pietra al collo. E il grande esodo dei 350mila partì proprio da Zara, capoluogo della Dalmazia, che già nel 1943 si svuotò in pochi mesi, quando 24mila dei 25mila abitanti fuggirono. Per gli altri fu la mattanza. «Mio zio Nicolò, industriale molto in vista e ultimo deputato di Zara italiana, fu annegato, mia zia Bianca venne fucilata da una partigiana croata sulla stessa barca», racconta Franco Luxardo, 74 anni, tuttora proprietario dello storico marchio di liquore Maraschino e sindaco del 'Libero Comune di Zara in esilio' con i suoi 20mila 'abitanti' nel mondo.
Solo suo padre si salvò, in famiglia?
Sì, perché anche il fratello Pietro, direttore di produzione in azienda, sparì nel nulla, esattamente come centinaia di altri zaratini.
Un genocidio vero e proprio.
Con l’intento dichiarato di deitalianizzare la città. Una barbarie paradossale, al punto che un anno dopo aver affogato mio zio il 'tribunale croato' lo accusò di non aver risposto all’invito di comparizione e per questo lo condannò all’impiccagione…
Zara in realtà subì di tutto, come città.
Prima dell’arrivo dei titini, per un anno intero fu bombardata ben 54 volte dagli angloamericani, loro alleati. La città, un gioiello di architettura veneta, andò in briciole. Poi, finite le bombe, dopo l’8 settembre del ’43 iniziarono i rastrellamenti. Per fortuna io, che avevo 7 anni, ero in Valsugana per motivi di salute e mi salvai.
A differenza di Pola e Fiume, Zara non esiste più. Lei è sindaco di una città fantasma…
Io, che non avevo vissuto il travaglio della fuga, vissi lo choc del ritorno. Era il 1965 e avevo 30 anni quando rividi Zara, e della mia città restava solo il cimitero.
Oggi che rapporti ha con l’«altra» Zara?
Decisamente buoni con la città fisica, dove ormai torno regolarmente e dove come Comune in esilio abbiamo stimolato la rinascita di una comunità locale di italiani. Prima stavano nascosti per paura, perché il governo jugoslavo non ne riconosceva l’esistenza: nel censimento del 1991 a Zara si sono dichiarati italiani 13 coraggiosi, oggi, dopo 20 anni, c’è una fiorente comunità di 500 iscritti, di cui andiamo molto fieri.
Tra le due Zara c’è un ponte ideale, dunque.
Pensi che qualcuno degli esuli fa traslare le ceneri dei propri vecchi laggiù. Quanto alle future generazioni, stiamo trattando per aprire un asilo italiano a Zara. Sarebbe un simbolo fortissimo: l’ultima scuola italiana l’hanno chiusa nel ’53.
(L. Bell.)