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Morto lo scooterista triestino travolto a Veglia (Il Piccolo 17 ott)

Danilo Sibelja non ce l’ha fatta. Il sessantenne triestino coinvolto il 5 ottobre scorso assieme alla moglie in uno spaventoso incidente stradale sul ponte che porta all’isola di Veglia, è deceduto all’ospedale croato di Susak. A nulla sono serviti gli sforzi dei medici d’oltreconfine e i lunghi e delicati interventi chirurgici a cui è l’uomo è stato sottoposto: il trauma cranico riportato dopo la caduta dallo scooter a bordo del quale viaggiava, non gli ha lasciato scampo.

Sono in lieve miglioramento, invece, le condizioni della moglie, Fulvia Ritani di 59 anni. Nel violento impatto con l’asfalto la donna ha riportato delle lesioni alla spina dorsale che, inizialmente, avevano fatto temere per la funzionalità delle gambe. Il rischio paralisi tuttavia, secondo le ultime indicazioni, potrebbe essere scongiurato. Ad assistere la cinquantanovenne, ancora ricoverata oltreconfine, è in queste ore la figlia Manuela che, al momento dell’incidente, si trovava davanti allo scooter dei genitori. Viaggiava infatti in sella alla Yamaha condotta dal marito Riccardo Cesca. E solo la prontezza di riflessi di quest’ultimo ha evitato che la tragedia assumesse proporzioni ancora più drammatiche. Il giovane è riuscito quasi per miracolo a non essere travolto dalla Bmw che viaggiava verso la terraferma e, all’improvviso, ha invaso la corsia opposta. Diverso, purtroppo, il destino di Danilo Sibelja, centrato in pieno dall’auto impazzita condotta da un trentenne di Lubiana, e scaraventato ad una decina di metri di distanza dal punto in cui si è verificato lo schianto.

Il sessantene – di cui oggi alle 12.30 verranno celebrati i funerali nella Cappella di via Costalunga – , era molto noto in città. Dopo aver lavorato a lungo in una carrozzeria di via Pigafetta, da qualche anno gestiva assieme alla moglie la frequentata tabaccheria di galleria Protti. In passato, inoltre, si era fatto conoscere per le sue doti atletiche. Sibleja, infatti, era considerato l’ultimo portacolori della storica tradizione triestina della lotta libera. Per capire il perché, basta pensare che era stato più volte campione italiano e per sei anni consecutivi aveva ricevuto la convocazione nei raduni collegiali della nazionale della specialità,

Una passione, quella per la lotta libera, nata nell’adolescenza. «L’inizio fu del tutto casuale – aveva spiegato in una recente intervista –. Avevo un amico che si allenava con il gruppo sportivo dei Vigili del fuoco, in largo Niccolini. Un giorno mi disse di andare con lui a provare a praticare la lotta e rimasi subito affascinato da questo sport. In questa disciplina bisogna essere atleti completi, avere sì molta forza, perché si tratta della dote fondamentale, ma è altrettanto importante anche dominare la tecnica, essere lucidi mentalmente e pensare costantemente alle prese, rimanere concentrati durante l’intero arco dell’incontro. Ci vuole molto equilibrio e iniziai ad allenarmi duramente».

Oltre alla passione, Sibelja aveva un’altra dote fondamentale per riuscire nello sport scelto: la prestanza fisica. Dote che l’aveva portato, all’età di 13 anni, a gareggiare non con i coetanei, bensì con gli atleti più vecchi. Il primo titolo tricolore nella categoria juniores arrivò poco più tardi, per la precisione a 16 anni. «Fu un trionfo per me, perché rappresentava il risultato di un grande impegno. Per eccellere nella lotta – amava ricordare Sibelja – ci vuole molta costanza e, quando si avvicinava il momento della competizione, bisogna pure intensificare i ritmi». (m.r.)

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