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Missoni: quel regno incantato di fili e tessuti (Il Piccolo 09 feb)

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Nessuno può dire di conoscere per davvero Ottavio Missoni. Se, almeno una volta, non è entrato nel suo studio. In quella stanza immensa che, nella casa di Sumirago, in provincia di Varese, confina con un bosco da favola. E si specchia nella maestosità del Monte Rosa. Lì, più dei mobili, più degli oggetti e dei libri, contano i fili, i tessuti, i colori. E un quaderno a quadretti, semplice semplice, sempre uguale. Su cui lo stilista continua a disegnare le sue creazioni.

«È quello il vero regno di Ottavio Missoni. Solo lì dentro puoi cogliere la magia della sua arte, la fantasia della sua moda», spiega Paolo Scandaletti. Per raccontare i primi novant’anni dello stilista, il giornalista e scrittore di origine veneta, che vive a Roma, ha messo assieme una vulcanica, puntuale e fascinosa biografia che si intitola ”Una vita sul filo di lana”. Arriva oggi nelle librerie pubblicata da Rizzoli.

Nel libro c’è tutto Missoni. Quello dei ricordi dedicati alla sua terra sfortunata, all’Istria e alla Dalmazia, a Ragusa dov’è nato e a Zara dov’è cresciuto. Quello dei successi sportivi, dei titoli italiani conquistati nell’atletica, della medaglia d’oro ai mondiali studenteschi del 1939. E quello, soprattutto, dell’avventura iniziata in punta di piedi nel mondo della moda. Che l’ha portato poi, sempre insieme alla moglie Rosita, a diventare uno dei più amati, applauditi e riconoscibili stilisti del mondo. Tanto da conquistare omaggi, mostre e retrospettive nei più importanti musei e gallerie d’arte di New York, Tokyo, Londra.

«La prima volta, con Ottavio Missoni, ci siamo incontrati in laguna a Venezia – racconta Paolo Scandaletti -. Era la sera del Redentore di una ventina d’anni fa e noi eravamo ospiti sulla grande barca dell’avvocato Marangoni e della moglie Federica, pittrice. Abbiamo passato il tempo cantando e mangiando».

Ma l’idea del libro non è nata lì.

«No, in realtà l’idea è partita da Carlo Alberto Brioschi, che cura la Saggistica per Rizzoli. Lui, in realtà, pensava a un libro sulla storia della Dalmazia e sulla presenza degli italiani, per arrivare a Tito, alle foibe e all’esodo. Ovviamente, chi tra i possibili testimoni sarebbe stato più rappresentativo di Missoni?».

Ha accettato subito?

«Missoni scende spesso a Roma per venire a trovare suo fratello. Così abbiamo iniziato a incontrarci. Qualche volta anche al ristorante, dove Ottavio riesce sempre a mettere assieme grandi tavolate. A cui sono presenti, per esempio, il senatore Lucio Toth, una figura importante nel mondo degli esuli, o lo scrittore e giornalista Enzo Bettiza».

Quanto sono durati questi incontri?

«Tra incontri, che cercavano di seguire un preciso schema di conversazione da me stilato, scrittura, correzione, integrazione, ci ho messo quasi due anni. Senza nascondere la difficolotà di un lavoro a quattro mani. Ovviamente, oltre alle nostre chiacchierate, ho consultato una marea di articoli, interviste, cronache di sfilate. Insomma, alla fine mi sono ritrovato con una torre di carta alta più di un metro».

Come ha fatto a chiudere il vulcano Missoni dentro un libro?

«L’ho sfiancato. Alla fine credo che non ne potesse più di me. Tra chiacchierate, correzioni di bozze, aggiunte, riletture, nuovi inserimenti, siamo arrivati finalmente al capolinea. Il libro era pronto».

Che Missoni ha scoperto, guardandolo così da vicino?

«Forse più che nelle sue parole, il vero Missoni l’ho scoperto negli articoli che hanno scritto su di lui i giornali di tutto il mondo. Noi italiani, forse, non ce ne rendiamo conto. Perché vediamo questo omone che non parla le lingue straniere, che sembra sempre scherzare…».

E invece?

«In America gli hanno assegnato due lauree honoris causa, una in Inghilterra. E in Italia niente. Il fatto è che lui parla con una semplicità disarmante, ma dietro c’è il mondo di un grande artista».

Un artista che qualcuno ha affiancato a Tiziano…

«Ecco, questo è un aspetto che ho voluto portare in primo piano nel capitolo ”Pittore della luce”. Ci sono fior di critici, ma anche pittori importantissimi, che testimoniano il valore di Missoni come artista. E sto pensando a personaggi come Balthus e Arturo Carlo Quintavalle. E non dimentichiamo che hanno fatto una mostra intitolata ”Da Tiziano a Missoni” in cui erano esposti i suoi arazzi».

Nel libro non mancherà il lato solare, festaiolo?

«È quello che attrae di più i giornalisti, che racconta il personaggio a chi non lo conosce. Salta sempre fuori questa voglia di organizzare le cene, di fare baldoria, di stare tra gli amici. Il ricordo di Gianni Brera, gli allenamenti con il ”Paròn” Nereo Rocco che finivano regolarmente in osteria. I viaggi, l’amicizia con Maurizio Scaparro, che lo analizza in una bellissima pagina».

L’ha riportata?

«Aiuta a capire il suo bisogno di scambiare storie, di raccontare. Perché Missoni è un testimone del tempo che ama ricordare, scambiare ricordi ed essere preso sul serio da chi gli vuole bene».

Stilista, sportivo e uomo molto amato?

«Lucia Bosè che si innamora di Missoni non è un’invenzione dei giornali scandalistici. L’ha raccontato lei stessa».

 

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