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Minoranza slovena: è ora di ragionare (Il Piccolo 02 feb)

LETTERE

Che Trieste sia una città plurale dal punto di vista etnico, linguistico, religioso, culturale è ormai una constatazione abbastanza, pur se ancora non universalmente, condivisa.

C’è però da chiedersi se la nostra città è capace del passo successivo. Di passare cioè dalla semplice presa d’atto della propria complessità alla capacità di saperne mettere a frutto le diverse componenti, che sarebbe erroneo se non caricaturale immaginarsi come divise a comportamenti stagni, ciascuno con monolitici tratti identitari mai sovrapponibili o intercomunicanti, per rilanciare quel ruolo di città europea di cui ama fregiarsi, a volte a ragione, a volte con controproducenti eccessi di sterile retorica.

È una riflessione che faccio anche alla luce della breve intervista al ministro per gli sloveni nel mondo Boštjan Žekš pubblicata lunedì 25/01 ed a cui mi vorrei riallacciare in due punti. Il primo è legato all’introduzione all’intervista, rilasciata a margine di un incontro della Slovenska skupnost ovvero, cito dall’articolo, "lo storico partito fondato nel 1963 che raccoglie la comunità slovena di tutto il Fvg". È una definizione potenzialmente fuorviante poiché sembra implicare che tale partito rappresenti l’interezza o la gran parte dei cittadini di questa regione che sentono la propria identità come in toto, in parte o anche slovena. Tanti sloveni, io fra questi, hanno scelto di militare in partiti di scala nazionale, principalmente di centrosinistra ma anche di centrodestra, preferendo affrontare le tematiche specifiche legate al plurilinguismo di questo territorio in un contesto più ampio. Fra gli sloveni, come normale del resto, si trovano posizioni e mentalità politiche, culturali, sociali, economiche diverse. La città dovrebbe esserne consapevole e cercare, forse, un dialogo più proficuo con questa multiforme realtà con alcuni tratti comuni, in primis la lingua. Ma che non è un monolite indistinto così come del resto non lo è la "maggioranza italiana". Di ciò, forse, dovrebbe esserci maggiore consapevolezza anche in Slovenia.

È un interrogativo che mi pongo anche alla luce di ciò che sta succedendo in questi mesi all’interno di questa parte della città classificata come "minoranza slovena": un dibattito complesso, poiché tocca i temi dell’identità, dell’integrazione, di cosa vuol dire oggi una minoranza e di cosa vorrà dire in futuro. Non solo per la ricchezza di un tessuto associativo che è vivo e presente nel territorio pur conoscendo dei momenti non facili che evidenziano l’ineludibilità della sua riforma. Ma anche per quanto riguarda la tutela delle minoranze nei due Stati. Su cui sarebbe forse opportuno iniziare a riflettere in termini di tutela sì ma soprattutto di evoluzione del carattere multiforme di un territorio, quello delle vecchie aree di confine, che può adesso ritrovare elementi di unità. Riconoscere per sviluppare il carattere plurale del Friuli Venezia Giulia, così come del resto dell’Istria slovena e croata. Ragionare non in termini di questa o quella identità minacciata ma nei termini dello sviluppo di un’identità plurale di questo territorio e delle singole persone che vi abitano, ciascuna con i suoi legittimi e personali sentimenti di appartenenza nazionale, linguistica, culturale, religiosa.

Stefan Cok, componente Assemblea nazionale Partito democratico

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