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Memoria senza rancori (Il Piccolo 07 feb)

LETTERE

È utopia sperare che il "Giorno del Ricordo" possa essere celebrato in una prospettiva di pacificazione e di superamento delle antiche contrapposizioni? E pura illusione pretendere che non si ricordi solo il dramma, personale e collettivo, degli italiani di Trieste, Istria e Dalmazia; degli infoibati, di chi ha subito violenze inaccettabili, dei tanti costretti a lasciare la loro terra? È sacrilegio sperare che vengano ricordate le sofferenze di coloro che per secoli sono stati considerati "gli altri", gli slavi, che hanno condiviso, in maniera diversa ma altrettanto sofferta, gli effetti di una violenza che ha investito questa terra. Il rischio, infatti, è di riproporre le antiche divisioni, i sospetti e le lacerazioni delle coscienze. Il "Giorno del Ricordo" non deve indulgere ad una memoria rancorosa. Lo dico in quanto esule, e nel fondo del cuore lo sono tuttora, cosciente però che la memoria è la capacità di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo ed agli eventi futuri. Grazie ad essa il passato può diventare una virtù civile, trasformarsi in una coscienza collettiva. Occorre avere il massimo rispetto per chi non riesce a dimenticare o perdonare. Non è ammissibile, tuttavia, possibile sprecare l'occasione per offrire ai giovani la possibilità di conoscere le ragioni per le quali, alla fine della seconda guerra mondiale in una terra così vicina, si è pervenuti ad un siffatto livello di degradazione del senso di umanità. Paolo Rumiz ha scritto: "il risultato è che oggi l'Italia accetta di celebrare le foibe evocando solo la barbarie slava e ignorando quella italiana. Onestà vorrebbe che nel gioco delle scuse incrociate si sostituisse la falsa simmetria con una simmetria autentica. Solo così il dopoguerra, a mio avviso, potrà dirsi finito sulla frontiera. Senza onestà la memoria resta zoppa e il giorno del ricordo potrà creare tensioni ancora a lungo". Queste, dunque, sono le urgenze che dovrebbero indurre a recuperare le memorie individuali e collettive perché non vadano disperse e, soprattutto, perché diano un sia pur modesto contributo al segnale di avvertimento morale di cui abbiamo bisogno.

Salvatore Egidio Di Grazia, esule da Capodistria

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