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I Morpurgo, l’alba della grande Trieste (Il Piccolo 07 feb)

di PIETRO SPIRITO

TRIESTE L’inizio è scritto in una bolla imperiale del 1721, firmata da Carlo VI. Pier Luigi de Morpurgo la tira fuori da un cassetto con affettuosa cautela, quella che si riserva ai preziosi cimeli di famiglia. La bolla è un volume di grande formato rilegato in pergamena, manoscritto, con la ”bulla” di sostegno al sigillo in legno, restaurato in anni recenti e chiuso da soffici legacci in seta. Un oggetto che per la gioia di possederlo potrebbe far battere il cuore a qualsiasi bibliofilo. Siamo al secondo piano di un appartamento di Palazzo Fontana, in via del Pesce, storico edificio cittadino della famiglia Morpurgo, che qui conserva le memorie degli avi. Tre secoli fa quel volume valse la libertà a Moises Ben Jacob Marburger, come si legge nelle pagine della bolla, il salvacondotto che gli consentì di uscire finalmente dal ghetto di Gradisca per avviarsi sulla strada del successo. «Oggi i discendenti sono tutti cattolici, ma la famiglia è di origini ebraiche aschenazite», spiega Pier Luigi de Morpurgo, che è medico radiologo al Sanatorio Triestino e ha uno studio in Viale Miramare. Anche la storia della sua famiglia, come le altre, intreccia rami e derivazioni con le vicende della ricca Trieste emporiale.

Cacciati dalla Spagna nel 1492, gli antenati dei Morpurgo si stabiliscono a Maribor (Marburg, da qui il nome della famiglia), dove abita una florida colonia ebraica, rappresentata da personagi come Israel Isserlein, noto esegeta della Bibbia. Da Maribor la famiglia è però costretta a emigrare in seguito al decreto di Vienna del 1560, e a entrare nel ghetto di Gradisca d’Isonzo. Nel 1624 l’imperatore d’Austria, Ferdinando II, riconoscendo «i servizi più volte prestati a propri avi dagli antenati dei Pincherle, dei Morpurgo e dei Parente, banchieri israeliti» (si trattava probabilmente di approviggionamenti alle truppe in tempo di guerra), pone queste famiglie ”sotto la sua speciale grazia, clemenza e difesa”. È l’anticamera della libertà, che arriva con la bolla di Carlo VI del 1721.

I Morpurgo si dividono, Moses lascia Gradisca, e uno dei suoi figli, Elia Morpurgo, decide di stabilirsi a Trieste, che a pochissimi anni dalla proclamazione del Portofranco attira gente da ogni angolo dell’Impero. Elia avvia subito una redditiza attività commerciale, ma sarà suo figlio Isacco a mettere il primo mattone di quello che sarà un grande patrimonio. Siamo già scivolati nel XIX secolo, l’età del volto neoclassico di Trieste, Isacco si mette in società con Marco Parente, altro commerciante ebreo di larghe vedute, e insieme i due soci-amici fondano la Banca Morpurgo-Parente. Istituto di credito e società di import/export, l’impresa ha legami operativi con la Banca Rothschild di Vienna, investe nella marineria, nell’industria, nelle assicurazioni. A consolidare il legame tra i due soci, come da tradizione, Isacco sposa Regina Parente, sorella di Marco. Dal matrimonio nascono cinque figli: Elio, Rachele, Giuseppe, Salomone e Giuditta. Tra i Morpurgo saranno soprattutto Elio e Giuseppe – che a loro volta sposeranno due cugine, le sorelle Nina ed Elisa Parente, e avranno il primo sette figli, il secondo cinque – a salire a pieno titolo sul ponte di comando della grande Trieste che fu.

Intraprendenti, colti, favorevoli all’italianità di Trieste ma fedeli alla Corona (liberale, Giuseppe in tarda età prenderà le distanze dall’irredentismo), i due fratelli iniziano la scalata sociale ed economica dell’emporio assieme a uomini del calibro di Pasquale Revoltella, Karl Ludwig von Brück, Francesco Taddeo Reyer, Giuseppe Giovanni Sartorio. Sono la pattuglia d’avanguardia di una nuova borghesia che oggi chiameremmo ”globale”. Si occupano di tutto, gestiscono l’economia cittadina ad ampio raggio, investono le proprie energie e risorse contemporaneamente nei commerci, nell’industria, nella finanza, nelle assicurazioni, nella scienza, nella cultura e nelle arti. Non solo, ma si impegnano in prima persona nella gestione della cosa pubblica, mischiando politica e impresa in modo virtuoso, avendo come unico obiettivo non il proprio personale tornaconto – o almeno non solo quello – ma l’idea di un progresso generale. Diventano ricchi e potenti, ma fanno molta beneficenza. Tendono ai traguardi di un orizzonte internazionale, ma hanno prima di tutto a cuore la crescita e il benessere della città e dei suoi abitanti. Collezionano cariche e prebende, ma fanno molta beneficenza. Una parte di questa élite si lega alla massoneria, ma non ostacola alcuna fede. Una congiuntura di potere che durerà fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, anzi fino al 1938, quando le leggi razziali – con l’estromissione della componente ebraica – daranno un colpo mortale alle élite dominanti, e che sarà destinata non ripetersi più.

È in questo nascente laboratorio del benessere che Elio e Giuseppe – nominati baroni dall’Imperatore prima l’uno e poi l’altro, e sono tra i primi ebrei a raggiungere nell’Impero il nobile titolo ereditario – entrano a passo di carica. Elio tra le altre cose sarà anche presidente del Lloyd Austriaco, mentre Giuseppe diventa vicepresidente della Camera di Commercio e poi presidente delle Generali. Di più, Giuseppe sarà presidente della Banca commerciale triestina, esponente del Partito liberale e vicepresidente del Consiglio comunale, deputato al Consiglio dell’Impero, co-fondatore dello Stabilimento tecnico triestino, la Fabbrica macchine. I due fratelli costruiscono le proprie dimore una di fronte all’altra, due enormi edifici pieni di stanze e di servitù (oggi è rimasto solo il palazzo della famiglia di Elio, che ospita la Biblioteca statale in Largo Papa Giovanni XXIII).

Nel 1869 Elio e Giuseppe de Morpurgo sono invitati, il primo come massimo esponente del Lloyd Austriaco, il secondo come rappresentante di Trieste, della sua Camera di commercio e delle Generali, all’inaugurazione del Canale di Suez, altro avvenimento storico ricco di implicazioni per la città. Durante il viaggio, Giuseppe scrive quotidianamente alla moglie Elisa Parente e ai figli, e nell’insieme l’epistolario si legge come un vero reportage dove traspare tutto l’ottimismo di un’epoca che pur tra i complessi e delicati equilibri internazionali appare radiosa agli uomini d’affari triestini.

Alla sua morte Giuseppe lascerà la gestione del patrimonio all’unico figlio maschio Emilio, che pur ricoprendo cariche di prestigio (è tra i sottoscrittori e finanziatori della costruzione del Politeama Rossetti) con una serie di scelte e speculazioni sbagliate mette seriamente a rischio gli affari di famiglia. Tocca al primogenito di Emilio, Pietro Luigi, nato nel 1865 dall’unione di Emilio con Maria Wertheim, rimboccarsi le maniche e risollevare le sorti di questo ramo della famiglia. Pietro Luigi riprende il posto che fu del nonno nell’ammministrazione delle Generali, e come il nonno assume anche la carica di console del Belgio. La prima guerra mondiale ha inferto un duro colpo ai patrimoni finanziari dei Morpurgo, ma Pietro Luigi riesce a risollevare le sorti della casa. Nel 1893 ha sposato Alessandra Mihoglou. Lui è ebreo, lei è ortodossa, e per non far torto a nessuno i due promessi si sposano con rito cattolico. È l’inizio del progressivo allontanamento di questo ramo della famiglia (ma non è il solo) dalla religione ebraica. I figli di Pietro Luigi, Paolo e Giuseppe, saranno battezzati, e così i loro figli e discendenti.

«Mio padre Giorgio – dice oggi Pierluigi de Morpurgo -, morto solo pochi mesi fa, diceva sempre di aver avuto quattro nonni di quattro religioni diverse: ebraica, ortodossa, cattolica e calvinista». È così che il figlio di Pietro Luigi, Giuseppe (che ha sposato Lavinia Fontana), riesce a sfuggire alla persecuzione e al campo di concentramento quando Trieste cade nelle mani dei nazisti dopo l’8 settembre. Pur essendo cattolico finisce nella lista nera delle Ss, ma riesce a farsi assumere in un ufficio pubblico e a sfuggire alla cattura.

Ma ben prima della guerra altri esponenti dei vari rami dei Morpurgo hanno lasciato il segno in città. Come Carlo Marco Morpurgo, che sul finire dell’Ottocento torna Trieste dopo aver fatto fortuna in Egitto. Oppure Edgardo Morpurgo, anche lui ai vertici delle Generali, o ancora Uberto Morpurgo, noto agli storici dello sport per essere stato il primo italiano a essere calssificato nella ”top ten” dei tennisti più bravi del mondo negli anni ’20-’30.

La discendenza triestina oggi continua con i figli di Pierluigi, Elisa e Marco, la prima psicologa e il secondo laureato in Giurisprudenza, e la sorella Donatella, che si appresta a tornare a Trieste dopo aver vissuto a lungo a Roma. Dei fasti del passato restano, fra l’altro, le memorie legate alla storica bolla imperiale di Carlo VI, a quella sfarzosa per il titolo baronale, al ritratto di Massimiliano con lettera-dedica autografa (in italiano) a Giuseppe de Morpurgo.

«A dire il vero – interviene Pierluigi de Morpurgo – c’è ancora qualcosa rimasto da quei tempi: il diritto ad avere un palco al Teatro Rossetti; è un privilegio riservato alla famiglia che risale ai tempi di Emilio de Morpurgo e che per legge si tramanda ancora oggi di padre in figlio».

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