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L’orgoglio degli Esuli a Fertilia (Il Piccolo 09 set)

LETTERE

Sono rimasta dolorosamente colpita e amareggiata nel leggere la lettera del signor Coslovich pubblicata sul «Piccolo» del 18 luglio: non capisco tanto rancore e livore nei confronti della «nostra gente» approdata a Fertilia nel 1947. Lui è venuto in Italia nel 1955 quando ormai era incominciata la ripresa e la ricostruzione; fosse venuto o meglio scappato come noi dal terrore delle foibe nel 1947 e prima ancora, abbandonando tutto, casa, lavoro, scuola, avrebbe trovato un’Italia semidistruttua dove regnava miseria e disoccupazione e noi che arrivavamo a frotte eravamo accolti dalla popolazione né più né meno degli extracomunitari d’oggi e come dargli torto quando a loro mancava anche il pane!

Fertilia era allora un paese pressoché disabitato e brullo, basta guardarsi il «video» ormai divenuto storico, dell’arrivo di don Francesco Dapiran con un gruppo di giovani ardimentosi mandato in perlustrazione del posto che avrebbe dovuto accogliere i primi profughi istriani: un deserto!

Arrivati in seguito, armati di buona volontà e tanta forza d’animo, si rimboccarono le maniche e si inventarono un lavoro perché Fertilia, oltre alla chiesa ancora da ultimare, la scuola, la caserma dei carabinieri e l’asilo delle suore, non offriva altro; niente negozi, nessun posto di lavoro! Hanno sgobbato a stradicare palme nane dalla terra secca per piantare qualcosa! Se Fertilia è oggi la ridente e accogliente cittadina che tutti conosciamo e amiamo è anche merito della «nostra gente» che per il carattere cordiale s’è ben amalgamata con la popolazione algherese, altro che «riserva indiana»! Al bar ristorante di Edda Sbisà entrano tutti non solo per l’ottima cucina ma per la spontaneità e cordialità di Edda!

Nerina Milia

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