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L’Opinione – 080208 – 10 febbraio: il Giorno del Ricordo

di Liliana Martissa

Crollato il tabù sulle vicende del nostro confine orientale, con
l'istituzione del Giorno del Ricordo il 10 febbraio per commemorare la
tragedia delle foibe e dell'esodo e la cessione di Istria, Fiume e Zara alla
Jugoslavia, si è posto fine a una lunga rimozione durata più di
cinquant'anni. Fra le cause principali di essa è stata riconosciuta la
vicinanza ideologica del comunismo italiano ai partigiani di Tito che diede
"copertura e legittimazione" al loro operato, ma anche una sorta di
mistificazione della realtà storica dovuta all'enfasi posta sul ruolo della
Resistenza. La lotta di liberazione nazionale conclusasi vittoriosamente
richiedeva di fare passare quasi sotto silenzio l'umiliante Trattato di Pace
del 1947 imposto a un' Italia che era stata invece pesantemente sconfitta, e
la perdita dei territori italiani in Adriatico orientale sui manuali
scolastici veniva perciò liquidata in poche righe. Dell'esodo dei 350.000
italiani, della pulizia etnica subita, della tragedia delle foibe non si
doveva assolutamente parlare, anche per non "delegittimare la Resistenza",
dato che sul confine orientale, per ordine di Togliatti, i partigiani
italiani e quelli slavi avevano operato insieme.

Conseguentemente si rese necessaria, o almeno così ha ritenuto di dover fare
il mondo della cultura italiano, anche l'espulsione dalla memoria storica
nazionale di tutto ciò che riguardava le terre cedute alla Jugoslavia. E'
cessato così ogni studio e divulgazione sul patrimonio archeologico,
storico, artistico e culturale e sull'apporto dato alla civiltà europea da
Istria, Fiume e Dalmazia, lasciando campo libero, nel contempo, alla
massiccia manipolazione della storia da parte dei vincitori jugoslavi. I
pochi che nel nostro paese si occupavano del confine orientale accettavano
supinamente la vulgata che si andava costituendo da parte della storiografia
jugoslava, secondo la quale in Istria e Dalmazia la plurisecolare civiltà
urbana tipicamente italiana che aveva avuto origine con i Comuni medioevali,
non era dovuta alla popolazione autoctona latino-veneta che colà aveva
vissuto, bensì era il frutto delle varie "dominazioni" cui sarebbe stata
sottoposta la popolazione slava.

Si confidava che tutto sarebbe finito nel dimenticatoio con l'estinzione per
ragioni anagrafiche degli ultimi testimoni, i profughi, che per quanto
ignorati o trattati con fastidio (quando non addirittura accusati di
fascismo e irredentismo), ancora si ostinavano a rivendicare la memoria
delle loro vicende e del passato delle terre abbandonate. L'ignoranza dei
fatti, alimentata per decenni, fece sì che gli stessi turisti italiani che
si recavano dapprima in "Jugoslavia", in seguito in "Croazia", non sapevano
neanche di trovarsi in Istria e Dalmazia, regioni di storia millenaria
(Histria e Dalmatia esistevano già ai tempi dei romani) e non conoscevano il
nome storico delle località che visitavano (Parenzo, Spalato, Zara, ecc.);
ritenevano inoltre che le testimonianze della civiltà di quelle terre
(l'architettura e l'arte tipicamente italiane, i Leoni di San Marco, il
dialetto simile al veneto ancora parlato in loco) non fossero altro che il
frutto della dominazione veneziana su popolazioni slave. Quanto agli
italiani "rimasti" sulle coste dell'Adriatico orientale, cioè coloro che non
avevano scelto l'esodo ma erano divenuti cittadini jugoslavi, si pensava
fossero immigrati dall'Italia in seguito all'occupazione fascista.

Di loro comunque nel nostro paese non si sapeva nulla. Erano dimenticati da
tutti, tranne che dai profughi che li consideravano "traditori" per aver
accettato di diventare jugoslavi e comunisti. La damnatio memoriae sembrava
pienamente riuscita. Poi, inaspettatamente, con il crollo del Muro di
Berlino e la crisi del comunismo, tutto si è rimesso in gioco. E' iniziato
il cosiddetto revisionismo storico, che altro non era se non la riscoperta
di una pagina di storia strappata e sono incominciati gli studi e i convegni
sugli avvenimenti del Novecento con numerose pubblicazioni su foibe ed
esodo. Gli italiani "rimasti" oltre confine, della cui esistenza nel 1991 lo
stesso Francesco Cossiga, allora Presidente della Repubblica italiana, si
dichiarò del tutto ignaro, sono usciti dalle catacombe dell'oblio e hanno
addirittura ottenuto la possibilità di riacquistare la cittadinanza
italiana. Tutto bene allora? Non del tutto. Perché, se il Giorno del Ricordo
in Italia ha il carattere della riconciliazione nazionale, commemorare foibe
ed esodo rischia di essere considerato un punto di arrivo, mentre non
dovrebbe essere altro che la premessa di una completa rivisitazione della
storia che non si limiti alle vicende del Novecento, ma tenda al recupero
della memoria del patrimonio artistico, culturale, toponomastico delle terre
dell'Adriatico Orientale.

Quanto alla riconciliazione fra Italia, Slovenia e Croazia, auspicata da più
parti, con il superamento dell'odio etnico alimentato in Istria, Fiume e
Zara dagli opposti regimi totalitari del Ventesimo secolo, occorre che venga
fatto un grande sforzo da parte degli storici. Se la storiografia italiana
non ha problemi ad ammettere gli errori e le colpe del fascismo nei
confronti degli slavi e studi rigorosi in tal senso sono già stati
pubblicati, qualche dubbio nasce a proposito degli storici d'oltre confine,
per il nazionalismo esasperato che oggi caratterizza gli Stati sorti in
seguito alla dissoluzione dell'ex Jugoslavia. Occorrerà certamente del tempo
perché si arrivi a una lettura condivisa degli avvenimenti del Novecento;
ancora più ne occorrerà perché gli accademici di Zagabria rinuncino a
mistificare il passato, slavizzando a posteriori personaggi eminenti e
testimonianze artistiche di Istria e Dalmazia che slavi non sono, e
riconoscano la traumatica cesura culturale e linguistica che l'esodo degli
italiani ha rappresentato per la storia millenaria di quelle terre e il
vulnus provocato dalla scomparsa della nostra civiltà e addirittura del suo
ricordo, dalle coste dell'Adriatico orientale. Solo allora ci potrà essere
pacificazione vera e, come si legge in recenti dichiarazioni, l'abbattimento
non solo dei confini fra gli Stati ma anche di quelli dell'anima.

 

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