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L’insegnamento di Srebrenica (Il Piccolo 10 lug)

L’errore, fatale, sarebbe quello di attribuire ai balcanici una sorta di predisposizione genetica alla violenza: un comodo riparo alle nostre paure. E anche un’offesa alla memoria collettiva. Ci fu una guerra civile, 65 anni fa (un breve rintocco di lancette sulla ruota della storia), sul nostro suolo e non fu meno cruenta. Srebrenica non si colloca allora in un altrove remoto. La stessa geografia, implacabile, lo dimostra. Semmai vanno considerate le ragioni che rendono ancora oggi instabile un’area dove dieci anni di conflitto (1991-2001) non sono stati sufficienti per dirimere dispute che rimangono aperte e annunciano, se non affrontate, altra tempesta. Srebrenica aprì la strada al mostro giuridico-istituzionale concepito a Dayton, con la nascita di uno Stato diviso in due entità da sempre sotto minaccia di secessione. I bombardamenti sul Kosovo hanno creato uno Stato-mafia dove vittime e carnefici si sono scambiati il ruolo. Mentre la polveriera macedone sta sempre sull’orlo dell’esplosione.Questo va ricordato oggi. Per non ripetere i ritardi del passato quando si cercò di agire solo fuori tempo massimo. I Balcani hanno bisogno di attenzione e di memoria quando invece siamo propensi a lasciarli nel limbo della cronaca. È successo anche di recente quando la condanna degli ufficiali serbi per Srebrenica è passata praticamente sotto silenzio. Se non possediamo l’antidoto contro la degenerazione nel peggio, dobbiamo però mettere in pratica tutti i meccanismi per evitarlo. E ricordare aiuta. Ci fu una generazione, era ieri, che si era dimenticata dei corsi e ricorsi del Vico e si era illusa che la storia avesse un andamento rettilineo come fosse una locomotiva avviata verso sorti magnifiche e progressive. Invece è come lo Zeno di Italo Svevo: si fuma sempre l’ultima sigaretta.

Gigi Riva

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