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L’impresa di Fiume novant’anni dopo (Area ott 09)

di Angelo Spaziano

Siamo trenta su tre gusci/ su tre tavole di ponte/ secco fegato, cuor duro/ cuoia dure, dura fronte…». È l'incipit della famosa

Canzone del Quarnaro, di Gabriele d'Annunzio, piccolo ma fascinoso poema sull'impresa fiumana. Proprio questa immaginifica colonna sonora è stata la superba cifra poetica ed emotiva che il 19 settembre scorso, a Trieste, ha scandito per bocca dell'attore teatrale Paolo Bussagli i passaggi più significativi della cerimonia commemorativa celebrata in occasione del 90° anniversario dell'esaltante episodio della nostra storia patria. Promotore dell'iniziativa, il sottosegretario Roberto Menia, del Pdl, da sempre legato alle vicende degli esuli istriani, fiumani e dalmati e primo promotore della legge che ha istituito il 10 febbraio come "Giornata del Ricordo" dedicato agli esuli e ai martiri delle foibe.

Durante l'incontro è stato illustrato al pubblico l'ultimo romanzo di Gabriele Marconi, Le stelle danzanti (ed. Vallecchi). Appuntamento alle ore 18,30 alla stazione marittima di Trieste, presso la Riva Nazario Sauro. Invitati a salire a bordo della motobarca "Delfino verde", attraccata proprio di fronte al centro espositivo, i convenuti hanno preso parte a una sorta di minicrociera commemorativa dell'antica impresa.

Si tratta delle gesta di un gruppo di volontari i quali, delusi dalla pace umiliante che aveva amputato l'Italia dell'avita sponda orientale, e mortificati dal clima avvelenato dai primi vagiti del comunismo antipatriottico, disertarono dai ranghi dell'esercito, e, sfidando le ire di Nitti, il famigerato "Cagoja", partirono nel lontano 1919 da Ronchi con l'obbiettivo di lanciarsi all'assalto della bella città dell'Adriatico. Una volta occupata Fiume, sotto il comando di d'Annunzio, fu il tripudio e l'apoteosi dello sberleffo e della gradassata. Bande di poeti, combattenti, uomini di cultura e avventurieri, garibaldini ed esoteristi, dongiovanni e sindacalisti, interventisti e futuristi, arditi e pirati, nobildonne e studenti, diedero vita a una repubblica della gioia e dell'entusiasmo. In poco tempo vennero spazzati via tutti gli ipocriti perbenismi e gli stucchevoli conformismi borghesi. Un dionisiaco baccanale legionario consacrato al sacro nome dell'Italia, insomma.

In quei giorni tutto sembrò essere lecito. Si faceva l'amore, pur essendo pronti a lottare fino all'ultima goccia di sangue per la Patria. Si diffondevano comunicati stampa social futuristi e nazional-libertari. Veniva proclamata, a opera de) sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris la "Carta del Carnaro: autogoverno, parità dei sessi, multiculturalismo, ammortizzatori sociali. Altro che '68, altro che '77… Per la prima volta le molte anime di quel turbolentissimo inizio Novecento furono tutte gagliardamente unite in una romantica,poetica,incruenta rivoluzione contro l'autoritarismo, il clericalismo, le borghesie, le burocrazie, le ipocrisie, le oligarchie, le comunisterie e democristinerie di ogni genere e sorta. Allergici alla vigliaccheria, leali fino all'autosacrifìcio, difficilmente irreggimentabili, se ne fregavano del pavido Stato italiano – ma, si badi bene, non dell'Italia.

A Parigi – come racconta Marconi all'inizio del romanzo – i vittoriosi combattenti della Grande Guerra sfilavano sotto ali di folla festante agli Champs Elysées, mentre in Italia i reduci dalle trincee dovettero tornare nottetempo, nascondendo le onorificenze guadagnate col sangue per non provocare agitazioni. Da qui prende il via Le stelle danzanti…

Durante il viaggio commemorativo organizzato da Menia, la motonave, dopo una sfilata trionfale davanti alla stupenda piazza Unità d'Italia, ha virato verso sud, doppiando Punta Sottile e Punta Grossa.

«Ecco l'isole di sasso/ che l'ulivo fa d'argento/ Ecco l'irte groppe, gli ossi/ delle schiene sottovento/ Dolce è ogni albero stento/ ogni sasso arido è caro…».

Una volta raggiunta la dolente "finis terrae Italiae", proprio di fronte alla cittadina di Lazzaretto, sotto le sventolanti bandiere istriana, fiumana e dalmata e alla luce di un crepuscolo ormai incipiente, è stato lanciato in mare un mazzo di fiori per commemorare, accanto alle vittime delle foibe, anche i sei valorosi paracadutisti della Folgore rimasti uccisi nell'attentato di Kabul.

Terminato il commovente rito, gli astanti si sono quindi raccolti in coperta, dove sono iniziati gli interventi degli oratori.

Il primo a prendere la parola è stato Roberto Menia, che dopo un breve  excursus  ha   introdotto Carlo Alfredo Panzarasa, marò del Battaglione Fulmine durante l'ultimo conflitto mondiale. Panzarasa, difensore sul fronte jugoslavo, ha donato alla collettività un ricchissimo fondo archivistico consistente in migliaia di documenti, gagliardetti, manifesti, bandiere e soprattutto foto, riguardanti la sua vita civile e militare. Menia ha donato al commosso Panzarasa un tratto di filo spinato del campo di concentramento americano di Hereford, nel Texas, il grande lager stellestrisce dove i "liberatori" tenevano segregati nel deserto i prigionieri italiani "non cooperatori" e dove lo scorso agosto è stata riconsacrata la cappella dei prigionieri, alla presenza dello stesso Menia, in qualità di rappresentante del governo italiano. Ha quindi preso la parola Piero Delbello, direttore dell'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (Irci). Poi l'onorevole Marcello de Angelis, dopo essersi presentato all'uditorio e avere raccontato il proprio lungo percorso di militanza da sempre condiviso con l'amico Gabriele Marconi, gli ha lasciato la parola.

Le stelle danzanti è un avvincente romanzo "epico", che narra le avventure al cardiopalma di due giovani reduci della Prima guerra mondiale che, a conflitto appena concluso, non esitano a indossare di nuovo il grigioverde per gettarsi nella rischiosa ma eccitante epopea fiumana. I due amici, spavaldi e un po' guasconi come solo i forti sanno essere, vengono arruolati in una sorta d'intelligence allestita dagli amici a protezione del Vate e all'insaputa dello stesso. Assaltano le navi per assicurare il sostentamento alla città. Combattono, infine, nel Natale di Sangue del 1920, che segna la fine dell'impresa.

E seguito uno splendido monologo di Paolo Bussagli, che con la sua voce potente ha declamato i versi fiumana di d'Annunzio, alcuni brani del romanzo e, infine, la Canzone del Quarnaro.

Un brindisi solenne all'Italia, all'Istria, a Fiume e alla Dalmazia ha concluso l'incontro. Fuori, la notte era calata e Trieste splendeva immensa.

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