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L’immagine di Tito sempre edulcorata

Dopo aver incassato grazie alla copertura sovietica consistenti allargamenti territoriali a scapito dell’Italia alla Conferenza di Pace, Josip Broz “Tito” rimase tuttavia con l’amaro in bocca per non avere ottenuto né Trieste né la Carinzia e andò accentuando una politica sempre più autonoma da Mosca.

Cercò di fagocitare il Partito Comunista Albanese e di attrarre il PC bulgaro nella sua sfera d’influenza, dopo aver già sostenuto i partigiani comunisti nella guerra civile greca, auspicando di recuperare il vecchio sogno jugoslavista di annettersi la Macedonia e affacciarsi al mare Egeo con il porto di Salonicco. Tanto avventurismo contrastava con la spartizione in zone di influenza concordata alla conferenza di Yalta e mirava a creare una Jugoslavia leader del comunismo balcanico capace di ledere la supremazia del Cremlino, la cui risposta fu l’espulsione di Tito dal Cominform, l’organizzazione di coordinamento dei partiti comunisti, nell’estate 1948.

A rimarcare il suo allontanamento da Stalin, Tito sarebbe stato tra i fondatori ed i promotori dei Non Allineati, organizzazione internazionale che si rivolgeva specialmente ai Paesi che stavano uscendo dalla colonizzazione e non avevano intenzione di restare ingabbiati nelle contrapposizioni e nelle conflittualità della guerra fredda. Si trattava di mosse di politica internazionale che andavano a indebolire Mosca, perciò il tiranno jugoslavo cominciò a godere di particolari attenzioni oltreoceano: silenzio sui crimini compiuti, ampio spazio sui rotocalchi per Tito e la sua first lady che accoglievano nella sfarzosa residenza di Brioni capi di stato, attori di Hollywood e vip, sovvenzioni finanziarie grazie alle quali il despota comunista poteva ostentare i successi del suo modello socialista di autogestione.

Riavvicinatosi a Mosca all’epoca della destalinizzazione per poi riallontanarsi allorché fu enunciata la dottrina della “sovranità limitata”, Tito operò con destrezza e spregiudicatezza sulla scena politica internazionale, offrendo ai capitalisti occidentali manodopera a buon mercato. La FIAT ne approfittò investendo nella Zastava di Kragujevac e regalando allo scaltro statista croato una trionfale accoglienza allorché venne in visita allo stabilimento di Torino: acclamato dai compagni operai mentre sfilava in macchina sorridente a fianco del magnate Agnelli. Una volta defunto Tito e soprattutto dopo la fine della guerra fredda la Jugoslavia non allineata non faceva più comodo a nessuno e si avviò allo sgretolamento.

Se ha fatto discutere una vecchia missiva in cui l’attuale Presidente statunitense Joe Biden esprimeva la sua ammirazione per Tito, non dobbiamo dimenticare che oltre ai suoi sudditi solamente gli italiani dell’Adriatico orientale avevano sperimentato la sua politica oppressiva, mentre agli occhi del resto del mondo veniva presentato come un despota illuminato. D’altro canto l’attuale inquilino della Casa Bianca è il successore tra gli altri di Franklin Delano Roosevelt, il quale, di fronte alle proteste dei suoi collaboratori per il sostegno fornito ad un sanguinario dittatore dell’America latina, avrebbe replicato: «Yes, i know, he is a son of a bitch, but he is OUR son of a bitch».

Anche quasi 44 anni dopo la sua morte, il tiranno comunista continua a godere di buona stampa: una delle sue più recenti biografie si concentra sulla figura del leader terzomondista e dimentica il mandante delle stragi dei nostri connazionali, mentre un recente volume dedicato alla minoranza slovena in Italia ripercorre i tentativi di snazionalizzarla ma omette le mire espansioniste del nazionalismo sloveno nei confronti di Trieste, mire che Tito stesso sosteneva dietro la copertura della bandiera rossa che ostentava.

Lorenzo Salimbeni

Il Piccolo – 15/11/2023
Il Corriere della Sera – 13/01/2024
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