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Libertà di parola (Voce del Popolo 13 feb)

di Aljoša Curavić

La libertà di espressione è una bella cosa. Alle volte genera terrore e il suo rispetto non è sempre scontato, ma ciò non toglie che è una conquista fondamentale dell'umanità. Per chi se ne fosse dimenticato, fino alla fine degli anni ottanta del ventesimo secolo, dalle nostre parti, nella ex Jugoslavia, la libertà di parola era un concetto bandito dalla società, a prescindere dal mito del socialismo dal volto umano che spesso viene appiccicato alla defunta federazione jugoslava. Venti anni di libertà di espressione non sono molti. Neanche il tempo per mandare in pensione una generazione, che allora era attiva e oggi è matura. Che fine ha fatto quella sedimentazione di divieti, repressioni, imposizioni dettate da un regime che, come tutti i regimi, aveva bisogno di un'informazione controllata per sopravvivere? Si è sciolta come neve al sole, una volta superato lo zenit ideologico? O, piuttosto, si è raggrumata e incallita in qualche anfratto profondo del nostro inconscio, da dove continua ad avvelenarci come una discarica abusiva?

La libertà non è un passaggio indolore e pacifico da uno stato di ignoranza a uno stato in cui tutto lo scibile ci è a portata di mano. Non è una targa che ti viene assegnata alla fine o all'inizio della corsa. La libertà di espressione è un dialogo ininterrotto con ciò che si presuppone corrisponda a verità. In occasione della Giornata del ricordo il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano ha detto la verità contestualizzando storicamente il doloroso esodo degli istriani, fiumani e dalmati. Così come l'ha detta il giornalista Paolo Rumiz, nel bel commento pubblicato da Il Piccolo, denunciando i silenzi italiani nei confronti del regime fascista. Non è la prima volta, né Rumiz è il primo intellettuale italiano nella storia dell'Italia democratica a fare una denuncia e una puntualizzazione di questo tenore, checchè venga detto o pensato da queste parti. Noi cosa abbiamo fatto negli ultimi venti anni? Come li abbiamo spesi? Con quale verità abbiamo e stiamo dialogando? In Slovenia, l'opinione pubblica è quotidianamente abbindolata da tematiche che non centrano niente con la vita reale. La società civile è allineata con gli aneliti patriottardi e partitici. I giornalisti sono schierati su verità parziali e di partito. L'omertà nei confronti della storia che ha generato le minoranze presenti sul territorio, compresa la nostra che viene ancora vista come un residuo dell'occupatore, è pressoché unanime. Il giorno in cui Giorgio Napolitano ammetteva le colpe del fascismo nei confronti della minoranza slovena qui si discuteva di esodo come di un fenomeno di emigrazione economica. Chissà con che cosa ci sorprenderà ancora la discarica accumulatasi da decenni di abusivismo storiografico e di omertà intellettuale.

 

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