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Le radici non si cambiano (Il Piccolo 11 feb)

LETTERE

Il 10 febbraio si commemora «Il giorno del ricordo» ed anche quest’anno si leggono interventi o commenti riguardanti gli «slavi» annientati da fascisti e le foibe come conseguenza logica all’occupazione della Jugoslavia da parte dell’Italia e della Germania.

Aspettando che nuovi studiosi divulghino o interpretino la storia in modo a loro più congeniale, fermiamoci…, riflettiamo e cerchiamo di cogliere l’essenza vera di ciò che accadde, senza strumentalizzazioni, difendendo una parte ed offendendo l’altra.

Storia che si può percepire ascoltando chiunque visse quegli anni, fuggendo dalla pulizia etnica del comunismo titino e soprattutto ascoltando il confronto tra chi abbandonò tutto e chi scelse di rimanere.

Sono esule e trovo sconcertante e deprimente che a distanza di 50 anni ancora si debba spiegare l’esodo di 350.000 profughi a persone adulte, pseudo acculturate ma ben indottrinate che presumono di conoscere la verità.

A Matterada, dove sono nato, convivevano da sempre famiglie di cultura, estrazione sociale e parlate diverse, ma nel rispetto delle differenze emergeva un fattore comune a tutti: essere istro-veneti nella propria madre terra .

Nella convinzione delle mie radici, non posso definire l’Istria slava perché sarebbe come chiamare l’Argentina «Nuova Italia» o l’Italia «Nuova Romania».

Mi auguro che queste mie parole e testimonianze possano essere fonte di riflessione.

Sergio Sferco

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