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Le piccole fughe della dalmata Mila Schon (Il Piccolo 04 feb)

di ARIANNA BORIA

Il completo di pelle nera stampata a coccodrillo, bordato di visone, che Mila Schön disegnò nel 1969, fino al 7 febbraio sarà esposto al Peabody Essex Museum di Salem, in Massachusets. È solo l’ultima delle gemmazioni di ”Rare bird of fashion”, la mostra dedicata a parte della strepitosa collezione di abiti e monili di Iris Apfel, la novantenne e segaligna americana, icona della moda internazionale, a suo agio nei santuari delle maison come tra le bancarelle dei flea market, i mercatini delle pulci, che ama confondere una guaina di seta sotto un grembiule di pelle da maniscalco e far perdere qualsiasi tracciabilità alle griffe. «Non l’ho conosciuta, Mila – racconta Iris al telefono, dal suo appartamento newyorkese di Park Avenue – ma facevo acquisti nella boutique di via Montenapoleone a Milano, nei frequenti viaggi in Italia con mio marito Carl. Non esiste più? Peccato, era un ambiente meraviglioso. Di capi di Mila Schön ne ho un paio di dozzine, ma il curatore della mostra ha scelto questo, a rappresentare i ”miei” anni Sessanta. Li indosso ancora tutti, vestiti corti, giacche e pantaloni di lino e di lana. E il mio preferito, un abito da sera decorato con pietre. Mi piace la loro qualità, la tecnica di esecuzione, tutto l’insieme sartoriale. È uno stile moderno, architettonico».

Il completo di Iris fu esposto per la prima volta a New York nel settembre 2005, all’inaugurazione di ”Rare bird of fashion”, seconda volta di Mila al Metropolitan Museum, dopo il cappottino e l’abito verde che l’allora curatore dell’Istituto del costume, Richard Martin, scelse per la sua mostra ”Cubism and fashion”, anno 1998, e che oggi fanno parte della collezione permanente del museo. Entrambe queste presenze sono testimoniate nel catalogo della mostra ”Mila e la notte – Abiti da sera di Mila Schön 1966-1993” (Electa), che sarà presentato domani, alle 17.30, all’ex Pescheria, dove, fino al 18 aprile, si può ammirare la creatività della stilista dalmata nella mostra organizzata dall’assessorato alla Cultura del Comune e curata da Lorenza Resciniti e Michela Messina. A parlare del volume saranno Luca Beatrice, co-curatore del padiglione Italia all’ultima Biennale di Venezia, e la giornalista e scrittrice Lisa Corva, cacciatrice di nuove tendenze per ”Grazia”. Il catalogo sarà proposto anche a Milano, nei prossimi giorni, in occasione della sfilata autunno-inverno di Mila Schön.

Come Iris Apfel, nella boutique di via Montenapoleone capitava Milva, giovane ma già ”sanremese” e famosa. «Entrai per acquistare un soprabito bianco e nero, zebrato, un capo eclatante, senza maniche e con camicia bianca, quasi eccessivo per una stilista così misurata», scrive la cantante nel contributo affidato al catalogo. «La première, un tipo alto, elegante, che avrebbe potuto essere una modella e che ricordo perfettamente come fosse adesso – racconta Milva – mi riconobbe e mi accennò a una collezione speciale, d’alta moda e di qualche anno prima: ”vestiti straordinari, se ne vede uno impazzisce”».

La stilista, impeccabile e quasi severa in camicia bianca e gonna nera, filo di perle e capelli quasi grigi, acconsentì a mostrarglieli. Fu così che Milva incontrò lo stile di Mila: abiti lunghi, preziosi, dai ricami come intarsi sul fondo tenue, perfetti per una donna alta ma non formosa. Non erano in vendita, ma la cantante li ottenne in prestito per la tournée giapponese e poi li indossò anche in televisione, a ”Senza Rete” e al Festival di Sanremo del 1968 e 1969, quando cantò due brani di Don Backy, ”Canzone”, in coppia con Celentano e ”Un sorriso”, arrivando terza e seconda.

La collaborazione tra la ”pantera” e Mila Schön durò qualche anno, poi la cantante, verso la fine degli anni Settanta, si convertì ad Armani e poi, nei Novanta, a Ferrè, convinta che lo stile dovesse aderire all’evoluzione delle scelte musicali e che il reportorio fosse l’unico criterio per accordare la preferenza a una griffe. «Ma l’epoca di Mila Schön – dice – resta in assoluto quella della classe e dell’armonia, dell’invenzione e della misura…».

Via San Michele 35, la casa dove Mila visse fino a 18 anni e dove tornò, per l’ultima volta, nel 2004, insieme al figlio Giorgio. Lì la mamma Bianca faceva lavare i tre fratelli Nutrizio (Maria Carmen, Gigio e Nino, il futuro fondatore de ”La Notte”, ricordato nel catalogo dal suo redattore Ignazio Mormino) in un grande catino nel cortile, con l’acqua fredda in ogni stagione, e da lì Mila scappava senza permesso, scavalcando il muro del cortile, per raggiungere l’amico Paolo Budinich, il futuro fondatore dell’Istituto internazionale di fisica teorica, e salire con lui fino a San Giusto.

Gli anni in cui la griffe si consolida tra i protagonisti del ”made in Italy”, sono quelli del boom economico, della contestazione giovanile, dei primi germi terroristici, delle epocali trasformazioni politiche, in Italia e nello scenario internazionale. Li inquadra lo storico Pietro Neglie, mentre la critica Martina Corgnati, approfondisce la portata innovativa degli artisti, amati da Mila, che animavano la scena milanese e i cui atelier frequentava con l’amico fotografo Ugo Mulas.

Il filo conduttore per ”leggere” gli oltre sessanta splendidi abiti in mostra all’ex Pescheria e riprodotti nel catalogo, è la ricostruzione della carriera di Mila curata da Resciniti e Messina, con la testardaggine delle storiche dell’arte, senza concessioni alle leggerezze delle fashioniste. E poi le parole della stilista stessa: «Il giorno che dovessi dire: sono la più brava, quel giorno probabilmente sarei finita».

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