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03 feb – La Croazia riabilita Zara martire italiana

Finalmente anche da parte ex jugoslava si comincia a studiare la tragica vicenda bellica di quella che fu definita la «provincia più distrutta» della Penisola. 54 bombardamenti aerei alleati, sollecitati da Tito, rasero al suolo l’80% della «Venezia dei Balcani»: una strage di civili inutile, anche perché la città non era mai stata un centro operativo dei nazisti

di Paolo Simoncelli su "Avvenire" del 3 febbraio 2010 

Alla fine del 2009 sul periodico zagrebino Globus è apparso un intervento dello storico Jakovina dell’Università di Zagabria sulla tragica vicenda dei 54 bombardamenti aerei alleati che tra il novembre 1943 e il marzo 1944 rasero al suolo Zara, la «Venezia dei Balcani». L’intervento merita rilievo per più ragioni: intanto come segnale di svolta di un precedente atteggiamento croato nazional¬comunista, tetragono e chiuso ad ogni ripensamento delle tragiche vicende belliche nei Balcani; segnale che determina finalmente un clima cordiale e disteso nei rapporti tra Croazia, Italia ed Unione europea.

Né a caso ad ospitare l’intervento di Jakovina è lo stesso periodico che nel febbraio 2007 aveva preso posizione a favore del presidente Giorgio Napolitano che, per aver ricordato con coraggio la tragedia delle foibe in occasione del primo «Giorno del ricordo» da lui celebrato al Quirinale, era stato ipso facto attaccato con virulenza, persino con ingiuriose e inaccettabili accuse di razzismo, dall’allora presidente croato Mesic.

Nel merito della questione, l’intervento di Jakovina mette a confronto la distruzione di Zara con quelle di Dresda, Amburgo e delle altre città tedesche bersaglio di attacchi aerei indiscriminati, per risalire a discussioni storico-militari (e oggi anche «morali») sulla strategia aerea alleata. Ne risulta un quadro essenziale, attento, mai polemico, in cui intanto vengono separate le responsabilità americane da quelle inglesi che prevalsero: bombardamenti notturni sulle città per colpire, anche con bombe al fosforo, la popolazione civile, mentre gli americani li avrebbero preferiti diurni e mirati a complessi industriali e logistici. Poi vengono esaminati gli effetti politici: nessun cedimento popolare e tanto meno sollevazioni, piuttosto radicamento del rancore specificamente anti-britannico ancor più dinanzi a titoli come «Amburgo hamburgherizzata» dei quotidiani inglesi.

Ma soprattutto nessuna utilità pratica: nell’immediato dopoguerra venne riconsiderato il problema non solo morale (il massacro e l’arsione della popolazione delle città che, con gli uomini al fronte, erano abitate per lo più da invalidi, convalescenti, donne e bambini) ma operativo, calcolando che le migliaia di aeroplani e le infinite tonnellate di esplosivo – se impiegate sui vari fronti – avrebbero potuto contribuire a vincere assai prima la guerra, e con assai meno morti civili. Infine alcune considerazioni specifiche su Zara, con finalmente il riconoscimento dell’inutilità della sua distruzione non essendo mai stata la città, come voluto dalla propaganda titina, il centro dei rifornimenti tedeschi nei Balcani. Dei 35 mila abitanti precedenti la guerra, non ne rimasero che settemila, sfollati però nelle campagne, mentre nella città, distrutta per l’80%, sopravvivevano solo un centinaio di persone. Morti, distruzioni, occupazioni tedesca prima e titina poi, resero spettrale la città. I sopravvissuti per voler rimanere italiani dovettero fuggire verso Trieste, vivendo da allora in esilio anche dalla memoria.

Possiamo aggiungere che oggi Zara rappresenta ancora un problema diplomatico poco noto seppure non nascosto, comunque incredibile in un ambito ormai di integrazione europea sempre più vasto. In riconoscimento delle sofferenze patite dai suoi cittadini durante i terribili bombardamenti (che ne fecero il più distrutto capoluogo di provincia italiano) e per premiarne «l’amore per la Patria comune e la fiducia nei valori che unirono tutti gli italiani», il 21 settembre 2001 l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi firmò il decreto che conferiva al gonfalone di Zara italiana la medaglia d’oro al valor militare. La relativa motivazione – che si riferisce agli anni 1940-45 – malgrado in più punti apparisse diplomaticamente contorta e storicamente illogica provocò comunque reazioni diplomatiche croate che ineffabilmente impedirono che al decreto già firmato venisse dato seguito pratico. Risultato: quelle tragiche sofferenze, l’irrevocabile esilio e gli inimmaginabili stenti che erano stati il prezzo di quell’«attaccamento alla Patria» finalmente riconosciuto nel 2001, appena reso noto veniva per ciò stesso beffardamente punito da una pronta adesione alle protestate esigenze d’uno Stato estero, altrettanto illogiche – va pur detto – di non pochi passi della stessa motivazione della medaglia; istanze che si rivelavano infatti tradizionali standard della propaganda titina, cioè paradossalmente dello stesso violento regime che appena in un tragico, recente passato, proprio in Croazia aveva mietuto vittime sacrificali al desiderio popolare di indipendenza e democrazia.

C’è dunque da chiedersi se non sia finalmente giunto il momento di dar seguito a quel decreto (mai revocato!) che obbliga a conferire, senza il minimo retropensiero sciovinistico, la medaglia al gonfalone italiano di Zara, per cui un’apposita cerimonia era già stata puntualmente indetta per la mattina di martedì 13 novembre 2001 ma, per le sopraggiunte proteste diplomatiche croate, rinviata con risibili pretesti e da allora mai più riconvocata nella fiducia che la tradizionale distrazione italiana per questioni di sensibilità nazionale ne cancellasse il ricordo ancor prima di quanto previsto dal fluire del tempo.

 

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