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Le due anime di Trieste che ha il culto del mare e la bora nei suoi libri (Il Piccolo 18nov12)

A guardarli dal terzo millennio sembrano due mondi lontanissimi. Eppure, nel corso del tempo, l’area del Mediterraneo e quella che oggi chiamiamo Mitteleuropa sono stati pianeti che ruotavano nella stessa orbita. Per gli scambi commerciali, per gli intrecci religiosi e sociali, per gli influssi culturali e le suggestioni letterarie che condividevano. Per riallacciare i fili tra due mondi oggi così lontani, Fondazione Allianz ha ideato una serie di manifestazioni sotto il titolo “Il mare bianco. Letteratura intorno al Mar Mediterraneo”, che hanno preso il via nel luglio scorso dal Literarisches Colloquium di Berlino. Venerdì e sabato la rassegna approderà a Trieste, per proseguire poi sulla rotta di Tirana e Alessandria d’Egitto.

 

A Trieste, “Il mare bianco” alzerà il sipario venerdì alle 18 nell’Auditorium del Museo Revoltella. Con una lectio introduttiva dello scrittore e germanista triestino Claudio Magris intitolata “Presenza e assenza del mare nella letteratura regionale”. Seguirà una tavola rotonda che coinvolgerà gli scrittori Kenka Lekovich, Davide Longo, Boris Pahor e Ilma Rakusa. Sabato, per tutto il giorno al Teatro Miela, una lunga serie di incontri con gli scrittori. Attesissimo il candidato al Premio Nobel Cees Nooteboom.

 

«Il responsabile dell’intero progetto è Michael M. Thoss, direttore di Allianz Kulturstiftung – spiega Claudio Magris -. Una delle anime di “Mare bianco” è Christina Weiss, già ministro della Cultura in Germania. Una persona di grande cultura, e non è per niente scontato dirlo quando parliamo dei politici. Scrive articoli, saggi, ha una formazione classica eppure è molto attenta ai movimenti d’avanguardia. Insomma, una figura di prim’ordine che potrei definire davvero “gentile”, facendo riferimento al “cor gentile” cantato dai nostri grandi poeti in volgare». «L’immagine di Trieste – dice Magris – è rimasta legata allo stereotipo di città divisa tra una notevole attività commerciale e un’espressione letteraria, artistica, musicale di alto profilo. Un luogo, insomma, che sa far convivere Apollo e Mercurio. Ma anche la terra dalla forte identità italiana e, al tempo stesso, dalla visibile multiculturalità. Tra Est e Ovest, una sorta di crocevia, di punto di incontro e scontro tra Italia e mondo slavo, austriaco. Mitteleuropeo».

 

In questo ritratto, l’additivo giusto per tenere insieme i colori sulla tela è stato individuato nella forte volontà di riportare Trieste alla patria italiana. «Ma anche nella causa scatenante di tanta compattezza tra i triestini, ovvero il desiderio di staccarsi dall’Impero austriaco. Un po’ più in ombra è sempre rimasta la componente slovena, quella croata, quella greca che ha pur avuto un ruolo importante in città». Magris è convinto che, al di là dello stereotipo di Trieste città con l’anima divisa tra Est e Ovest, sia sbagliato trascurare il suo rapporto forte con il Nord e il Sud. «Ci sono certi tramonti, non in piena estate, ma in autunno o primavera, che indugiano, che le danno quella luce così diversa da altre città tipicamente italiane. Ricordo che Gregor von Rezzori, lo scrittore di “Un ermellino a Cernopol”, “Memorie di un antisemita”, “Edipo vince a Stalingrado”, li definiva tramonti baltici. In altri momenti, al contrario, può ricordare le città del Sud. Decisamente mediterranee».

 

Ma c’è anche un’altra oscillazione nell’intimo modo di essere di Trieste. Accanto alla città incappottata, che si fa schiaffeggiare dalla bora, che a volte vive giornate di freddo intenso, si contrappone quella che coltiva un vero culto del corpo. «Giustamente Mauro Covacich ricordava sul “Corriere” che io, all’Università, molto spesso mi presentavo con il costume da bagno nascosto tra i libri. Pronto a godere di un tuffo in mare, magari veloce, non appena mi si liberava qualche minuto nel corso della giornata. Del resto, questo atteggiamento di grande apertura, di libertà che è tipico del Sud, lo scopre chiunque arrivi a Trieste dalla strada costiera nei mesi d’estate. Perché lo accoglie un’esibizione di corpi seminudi, abbronzati, che difficilmente si possono vedere in altre città del Nord». La vita sul mare, del resto, fa parte del Dna di Trieste.

 

«Nella mia famiglia, chi mi ha preceduto si è diviso tra il lavoro nel mondo delle assicurazioni e quello sul mare. Però, mentre nel vissuto l’aspetto marino è molto presente, in letteratura ha prevalso l’anima incappottata della città. Forse perché si è voluto seguire le suggestioni della cultura mitteleuropea, che di gran lunga preferisce il loden al costume da bagno. Possiamo vantarci di scrittori che stiano alla pari con Franz Kafka, ma non ne abbiamo che possano rivaleggiare con Joseph Conrad. Per dire, Italo Svevo, Scipio Slataper, lo stesso Fulvio Tomizza e perfino il dalmato Enzo Bettiza, non hanno scritto del mare come abbandono, come luogo dove puoi ignorare le divisioni, le frontiere. Di Renzo Rosso ricordo dei bellissimi brividi di mare nella “Dura spina”».

 

Pochi scrittori triestini hanno davvero fatto del mare il centro di gravità delle loro storie. «Ovviamente ci sono delle eccezioni. Penso a Pier Antonio Quarantotti Gambini, alla sua “Onda dell’incrociatore” e alla “Calda vita”. E non posso dimenticare Stelio Mattioni con “Vita sul mare”. Qualcosa di Giani Stuparich, dei versi di Umberto Saba, che cantava il mare con spirito nietschiano, come completo appagamento dell’essere. Al di là e al di qua del disagio. Ma direi che le pagine forse più interessanti, da questo punto di vista, arrivano dalla letteratura popolare, dalle “Maldobrìe” di Carpinteri & Faraguna». Al contrario, un grande goriziano, terragnolo, Carlo Michelstaedter, morto suicida nel 1910 ad appena 23 anni, ha fatto del mare il luogo della persuasione. Conquistando il Magris scrittore di pagine come quelle di “Un altro mare”. Ma anche di “Danubio”, “Microcosmi” e di tante storie inserite nei libri dedicati ai viaggi in giro per il mondo. «Il mare come luogo in cui si ha l’impressione di vivere. Non di dover fare, o di desiderare di aver già fatto. Lì, accanto all’acqua, distesi, si insinua il ricordo di Eros. Per me, è impensabile un paesaggio amoroso dove non ci sia il mare. Del resto, impariamo a nuotare quando non siamo ancora nati. E poi, il nostro corpo è fatto per gran parte di liquido». Lontano da Trieste, molti scrittori hanno fatto del mare il loro orizzonte. «A cominciare dal veneto Giovanni Comisso per proseguire con Lorenzo Viani, Mario Tobino, Stefano D’Arrigo, Raffaello Brignetti. E lo stesso Giovanni Verga. A noi italiani mancano quegli aspetti della letteratura, presenti al contrario in tanti.

 

Alessandro Mezzena Lona

“Il Piccolo” 18 novembre 2012

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