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La storia e gli Stati deboli (Il Piccolo 31 ago)

SLOVENIA E TERRITORIO ETNICO
LA STORIA E GLI STATI DEBOLI
di GIAMPAOLO VALDEVIT

Nei giorni scorsi su questo giornale c'è stato chi ha manifestato il proprio stupore per aver notato alcune affermazioni dello stato sloveno in un'occasione significativa (la conclusione del semestre di presidenza Ue), nelle quali si intravedeva il concetto di territorio etnico e la lamentazione circa il fatto che il confine del 1947 (poi corretto nel 1954 e riconosciuto nel trattato di Osimo), ha sottratto dolorosamente qualcosa al territorio etnico sloveno, cioè Trieste e Gorizia.

Da dove nasce tanta sorpresa? La risposta è semplice: nasce dalla disattenzione. Chiunque abbia appena un po' seguito negli ultimi anni scritti e discorsi di intellettuali e soprattutto di storici sloveni sa benissimo che il tema del territorio etnico e dell'ingiusto confine è stato proposto e riproposto una quantità di volte (ma con risultati poco credibili). Per fare solo alcuni esempi, la Grande Guerra la si è definita come una guerra etnica, nella quale gli italiani non sarebbero riusciti a sfondare sul fronte dell'Isonzo perché incontravano l'ostinata resistenza dei soldati sloveni di Francesco Giuseppe, che difendevano appunto con le unghie le proprie case. Anche un recente testo di una storica slovena, al quale è stato dato ampio risalto, presenta gli sloveni rimasti fuori dai confini nazionali nient'altro che come perseguitati a casa propria (occupata da qualcun altro). Storia nuova, questa? Altroché. Da parte slovena la si è cominciata a raccontare pochi anni dopo il 1918 ed è diventata di pubblico dominio negli anni trenta; da allora non è minimamente cambiata.

Rivedere un giudizio del genere si direbbe tuttora un tabù per gli storici e gli intellettuali sloveni. Di fronte a tanto ampio consenso desta assai poco stupore il fatto che le istituzioni della Repubblica slovena abbiano fatto proprio un discorso del genere. Quale migliore occasione di presentarlo come la storia ufficiale slovena, quel tipo di storia che fra l'altro era molto in voga nella Jugoslavia di Tito, e a sostenere il quale fu presa l'infelice decisione di istituire la commissione mista degli storici italiani e sloveni (che avrebbe dovuto scrivere appunto la storia ufficiale italo-slovena).
Detto questo, è ovvio riconoscere che la storia ufficiale non fa affatto bene alla capacità di visitare criticamente il proprio passato, una capacità che dovrebbe essere una prerogativa di ogni società libera. A questo punto però sorge un'altra domanda: sono credibili, sono per così dire senza peccato coloro che da parte italiana hanno puntato il dito contro l'etnonazionalismo sloveno?
Purtroppo non è così. Basta tornare a una circostanza altrettanto significativa sul versante italiano: il 50° anniversario della ricongiunzione di Trieste all'Italia, che si è celebrato quattro anni fa.

Ebbene, in quella circostanza la voglia di storia ufficiale da parte italiana è stata altrettanto prepotente proprio da parte di coloro che oggi si scandalizzano. In quella circostanza si è voluto presentare il ritorno di Trieste all'Italia come il canto del cigno del patriottismo, quasi un terzo Risorgimento, mentre si dovrebbe ormai sapere che ciò è avvenuto quando inglesi e americani hanno ritenuto giunto il momento giusto: giusto perché offriva qualche garanzia di stabilità nel rapporto fra Italia e Jugoslavia e non perché si sventolavano gioiosamente i tricolori nelle piazze italiane o tutti cantavano "Vola, colomba". Oltre a ciò si volle fare dei morti negli incidenti di novembre 1953 i nuovi martiri dell'italianità (con tanto di medaglie e targhe commemorative), mentre sono state soltanto vittime di un calcolo politico irresponsabile (da parte italiana e in misura minore inglese e americana).

Anche in quel caso dunque la storia ufficiale ha avuto scopi politici: è servita a legittimare il patriottismo inteso come sentimento condiviso da tutti: da tutti gli italiani, ma non dagli sloveni, dai quali non possiamo certamente aspettarci professioni di patriottismo italiano. Peccato che quelli che oggi inneggiano alla storia plurale, ieri se ne sono dimenticati.
Quale dunque la conclusione? La storia ufficiale non fa bene a nessuno: né da una parte né dall'altra di quel confine che si ama dire sia caduto. La storia ufficiale denota un deficit di cultura liberale, di quella cultura che per affermarsi non ha bisogno di approvazioni o incoraggiamenti provenienti dalle sfere politiche o istituzionali. Al contrario essa toglie ossigeno alla cultura, alla cultura storica in particolare, la quale non può essere che attività di uomini liberi.

Ecco cosa rivelano in sostanza queste due vicende: sono solo gli stati deboli che cercano legittimazione in una lettura comune del passato; gli stati solidi non ne hanno affatto bisogno. Purtroppo da una parte e dall'altra del confine abbiamo ancora due stati deboli e proprio per questo irrispettosi della libertà.

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