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La nuova guerra balcanica si combatte nelle scuole (Il Piccolo 02 ott)

La guerra, quella combattuta con le armi, è finita da più di un decennio. Ma un altro conflitto, silenzioso ma altrettanto pericoloso, ancora si combatte nei Balcani, sui banchi di scuola della Serbia e del Kosovo. Banchi sui quali gli studenti apprendono da libri di storia che descrivono “l’altro” in modo distorto. Oppure che non ne parlano proprio, lasciando campo libero a informazioni falsate, raccolte in famiglia o attraverso i media. Il messaggio che arriva ai ragazzi, su entrambi i fronti, è che le vittime sono ogni volta i “nostri”. Gli aguzzini sempre quelli dell’altra etnia.

 

L’allarmante scenario è stato svelato da una ricerca del “braccio kosovaro” dell’autorevole Humanitarian Law Centre (Hlc), ong fondata dall’attivista per i diritti umani Nataša Kandi„, presente in Kosovo dal ’97. Hlc che ha svolto nelle scuole nazionali una trentina di lezioni di storia della Jugoslavia e del Kosovo a ragazzi albanesi tra i 15 e i 17 anni. Tirando le somme degli incontri, «siamo arrivati alla conclusione che la conoscenza del passato è carente tra gli studenti del Kosovo, che non sanno», per esempio, «il numero reale delle vittime e delle persone scomparse durante la guerra», spiega al telefono da Priština Kreshnik Sylejmani, coordinatore del progetto. È proprio l’informazione sul numero delle vittime della guerra del ’99 il problema maggiore.

 

Secondo le indagini dell’ong, il bilancio di vittime e scomparsi nella guerra del Kosovo, in gran parte albanesi, ammonta ad oggi a «13.500 persone di tutte le etnie». Nelle scuole alcuni ragazzi hanno invece riportato numeri che oscillano da «200mila a 250mila», altri hanno parlato solo di un migliaio. C’è «una grande discrepanza tra quelle che stanno diventando le cifre ufficiali» e quanto insegnato agli studenti. Non bisogna sorprendersi, considerato che nei libri di testo non vengono forniti dati sulle vittime e i ragazzi «ottengono questi numeri dai genitori, dagli insegnanti delle scuole e da media non professionali e di parte», illustra Sylejmani. Anche l’immagine del “fronte opposto” è parziale.

 

Durante le lezioni, racconta il rappresentante dell’Hlc, «abbiamo fatto ascoltare quattro registrazioni audio con storie che le vittime» della guerra in Kosovo «ci hanno raccontato». Il tutto «senza rivelare ai ragazzi né i nomi né l’etnia e neppure i luoghi dei crimini», così che gli studenti «non potessero sapere chi fosse la vittima e chi fosse l’esecutore». Poi, «abbiamo chiesto agli studenti quale pensassero fosse l’etnia delle vittime». La loro prima risposta, che erano «tutti albanesi». «Allora abbiamo spiegato che 560 serbi furono uccisi nel mese successivo alla fine del conflitto e prospettato che una delle vittime nelle registrazioni potrebbe essere non-albanese. E vari giovani hanno cambiato posizione, rispondendo che una di esse avrebbe potuto essere serba».

 

In effetti «uno dei quattro clip audio riguardava un’anziana serba il cui figlio fu ucciso nella sua casa da albanesi in uniforme». Così, dopo lo «shock iniziale», i ragazzi hanno iniziato ad «accettare l’idea che le vittime non fanno parte di una solo etnia». E nella discussione successiva si è arrivati a capire che «non ci sono guerre pulite» e che ci sono state vittime civili da entrambe le parti. La nobile iniziativa dell’Hlc non si fermerà alle lezioni e ai colloqui con i ragazzi. «Il nostro progetto è quello di inserire almeno un capitolo nei libri di storia che faccia i conti col passato».

 

E, in quelli di educazione civica, una sezione che analizzi «diritti umani e giustizia di transizione». Sarà un «processo lungo» con l’obiettivo di convincere il ministero dell’Educazione di Priština ad accogliere la proposta dell’Hlc. Inserire nei manuali «i fatti», consentirà di evitare «ulteriori manipolazioni degli eventi storici». Manipolazioni che avvengono, naturalmente, anche sul fronte opposto, tra i serbi del Kosovo e in Serbia. Serbia dove, molto spesso, le «giovani generazioni non conoscono l’“altro”, usano termini impregnati d’odio quando parlano degli altri», specifica Sylejmani. Ma in questi casi diventa più difficile immaginare l’Hlc in azione. «Il ministero serbo per l’Educazione», che controlla le scuole “parallele” dei serbi kosovari, «non ci dà il permesso di fare questo tipo di lezioni», denuncia l’attivista. Lo stesso accade in Serbia. Dove alcuni studenti hanno dovuto recarsi nel quartiere generale dell’Hlc per assistere a simili lezioni. Per poter ascoltare, senza filtri, l’altra versione della storia.

 

Stefano Giantin

“Il Piccolo” 2 ottobre 2012

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