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La crociera a Sansego del 1970 (Il Piccolo 07 dic)

di FULVIO MOLINARI

La storia, come tutte quelle affidate alla tradizione orale, non ha i contorni del tutto nitidi, e alcuni dettagli non sono verificabili, a distanza di tanto tempo. Ma certo è che a Barcola e dintorni tutti ricordano la vicenda di una tartaruga marina che ha vissuto per qualche giorno nel porticciolo, e poi ha fatto una fine misteriosa.

La tartaruga, della specie Caretta Caretta, è piuttosto frequente in Mediterraneo, ed anche nelle acque adriatiche, in particolare quelle che lambiscono spiagge di sabbia, preferibilmente deserte, dove vanno a deporre le uova. Correva l’estate del 1970 (sembra un secolo fa) e una tartaruga aveva appena deposto le uova sulla spiaggia di Sansego, unica isola di sabbia in un mondo di pietra. Si stava dirigendo verso il mare profondo, in cerca di molluschi, crostacei, gasteropodi, piccoli pesci e meduse, che sono il suo cibo prediletto. Ma mentre nuotava ancora in superficie incrociò la rotta dell’Urania, a bordo della quale si trovavano in crociera, di rientro a Trieste, Stelio Spangaro e la sua famiglia. Vedendo quel bellissimo rettile marino Stelio non resistette alla tentazione di catturarlo: fermò il motore, prese una cima e si tuffò in acqua. In pochi minuti la tartaruga fu “imbragata”, con cura meticolosa, e attenzione a non farle male, e presa a rimorchio dell’Urania. Da lì, mentre la barca procedeva in po’ a vela e un po’ a motore, a seconda della brezza di quella bellissima estate, la tartaruga fu portata fino a Barcola.

L’Urania, naturalmente, non si fermò prima a Pirano, dove a quel tempo si doveva fare dogana e disbrigare le pratiche di passaggio del confine. Stelio Spangaro non aveva mai riconosciuto alla Jugoslavia la sovranità sull’Istria e sulle coste della Dalmazia, dove si recava in crociera fin dall’immediato dopoguerra, ed ogni estate, all’ingresso in acque territoriali “jugoslave”, si impegnava in interminabili discussioni con quelli della «milicija», contestando i trattati internazionali e il concetto di sovranità sul mare. Alla fine lo lasciavano andare, lui faceva la sua crociera e non pensava neanche lontanamente di fermarsi a Pirano per le pratiche di uscita, dal momento che non voleva fare quelle di entrata.

A Barcola la tartaruga, a quanto sembra di ricordare, non si trovava affatto male. Legata sotto l’Urania, all’imbocco del mandracchio, veniva nutrita con ceste di insalata, sardoni, granchiolini, schile. Ma certo la sua presenza non poteva passare inosservata. In primo luogo perché sulla scogliera del porticciolo, come del resto accade anche adesso, c’era molta gente che si faceva la tintarella; poi perché l’Urania era barca nota a Trieste per le sue eterne sfide, alla Barcolana, con il famoso Nibbio di Brunetto Rossetti. L’Urania era una ex scialuppa di salvataggio a madieri sovrapposti trasformata, con pazienza e perizia, in barca a vela, e il suo proprietario, tornitore di fino presso l’officina di motori marini Giacomini, era, ed è, molto noto negli ambienti nautici. Brunetto e Stelio da qualche anno non disputano più regate (la salute non è più quella di una volta) e in particolare l’angelo custode che Stelio ha sempre avuto accanto, come tutti, pare si sia un po’stancato di tirarlo fuori dai guai. Come la volta che, fatto il pieno di benzina a Pirano, mentre il mondo circostante (i moli, piazza Tartini, l’acqua e l’aria) erano immobili come in posa per una foto ricordo, i vapori di benzina di serbatoio e tanche si infiammarono con un tremendo scoppio appena Stelio girò la chiavetta della messa in moto, e lo skipper fu scaraventato in acqua con ustioni in gran parte del corpo, per cui lo diedero per morto. Ma la sua forte fibra in quindici giorni ebbe ragione del male. O come la volta che nel fiordo sottostante la cascate del Krka vide due nibelunghi che si tuffavano da una roccia alta venti metri sull’acqua, e lui non volle essere da meno: si tuffò a sua volta, ma toccò la superficie del mare salmastro con la pancia: poi se ne stette immobile due giorni nella cuccetta della barca per risvegliarsi colto da una gran fame, guarito.

Ma queste sono altre storie. Quella della tartaruga si concluse con l’arrivo di due signori in abito scuro (vigili urbani? addetti alla protezione animali?) Si interroga ancor oggi il figlio di Stelio, Stefano Spangaro, più volte campione del mondo di vela, con alle spalle un giro del mondo su Brooksfield e un presente di navigatore oceanico e regatante di primissimo livello). I due chiesero di liberare la tartaruga, e pare abbiano offerto, per questo gesto di sensibilità verso l’animale, anche qualche biglietto da diecimila. La tartaruga fu portata al largo, in mezzo al golfo, e liberata.

Ma c’è un appendice. Alcuni attestano che la sera stessa, sul molo di Barcola, su una tavolata fatta con dei cavalletti e una grande asse di legno, una compagnia piuttosto numerosa assaggiò un ottimo brodo di tartaruga. Vera o falsa che sia questa memoria, resta il fatto che il cantautore Lorenzo Pilat ha tra i suoi appunti nel cassetto alcune note di una canzone inedita che recitano:

Oh che buon brodo
di tartaruga:
un gusto misto
mare e lattuga.
Oh che buon brodo
degustazione,
di un animale,
in estinzione!

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