La cosiddetta cancel culture colpisce Luigi Cadorna

Ha destato polemiche la decisione del consiglio d’istituto della scuola media Luigi Cadorna di Verbania di cambiare la propria denominazione in Gino Strada, il fondatore di Emergency venuto recentemente a mancare. Tale scelta è stata avvallata dal Consiglio comunale, ma ha scatenato le reazioni non solo dell’opposizione consiliare, ma anche di associazioni patriottiche, combattentistiche e d’arma. Tra i contrari anche la sezione cittadina del Comitato 10 Febbraio, che recentemente ha  sia organizzato una grande manifestazione in onore del Milite Ignoto (in collaborazione con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e con l’amministrazione comunale cittadina) sia ripulito la tomba monumentale del generale che si trova sul lungolago. Raffaele Cadorna, padre di Luigi, fu il comandante delle truppe italiane che il 20 settembre 1870 entrarono a Roma e tale dinastia di militari era in effetti originaria della frazione verbanese di Pallanza. 

Non vogliamo adesso esprimerci tanto in merito alla nuova intitolazione mettendo sulla bilancia i trascorsi giovanili di Strada nell’estremismo politico della sinistra più radicale e gli anni trascorsi in ospedali da campo sui più disparati fronti di guerra, quanto riguardo la necessità di compiere un atto di cancel culture invece di intitolare una nuova scuola ovvero di attribuire un riconoscimento nella toponomastica cittadina senza ledere precedenti denominazioni.

Ci dispiace quindi riscontrare che il recente centenario della Prima guerra mondiale non ha lasciato in eredità alla comunità nazionale una visione di quella vicenda bellica meno stereotipata e non condizionata da pregiudizi figli della mentalità odierna che però un secolo fa erano assolutamente fuori luogo. Luigi Cadorna, al pari dei suoi colleghi della Triplice Intesa e degli Imperi Centrali, adoperò quelle che erano le dottrine militari dell’epoca, le quali prevedevano purtroppo assalti di truppe contro posizioni trincerate che le artiglierie avrebbero dovuto indebolire o annichilire e invece migliaia di fanti rimasero falciati dalle mitragliatrici. Oltre 600.000 caduti italiani rappresentano una cifra cospicua in tre anni e mezzo di conflitto, ma altri eserciti hanno denunciato perdite ben più gravi causa queste disposizioni operative che non avevano tenuto conto dell’evoluzione degli armamenti.  

Rispetto, invece, ad altri eserciti, quello italiano impostato da Cadorna fece ricorso di meno alla decimazione di reparti ammutinati o alle fucilazioni di soldati che avevano contravvenuto agli ordini. La strategia delle “spallate” che avrebbero dovuto alla fine far cedere le difese austro-ungariche consentì all’esercito italiano di conquistare Gorizia e di avanzare di alcuni chilometri, mentre Belgio, Romania, Serbia e Montenegro videro le truppe nemiche occupare le proprie capitali e l’esercito francese ebbe per tutta la durata del conflitto le truppe tedesche schierate a poca distanza da Parigi. Dopo le prime undici battaglie dell’Isonzo il dispositivo difensivo asburgico era in effetti sul punto di crollare: il rovesciamento di fronte registratosi a Caporetto avvenne per l’intervento di truppe tedesche venute a sostenere l’alleato in difficoltà.

Se appunto possono essere mosse critiche al “generalissimo” riguardo Caporetto, esasperate dal bollettino in cui addossò le colpe sulle truppe e non volle denunciare le responsabilità di alcuni generali, tra i quali Pietro Badoglio, la successiva ritirata evidenziò un pregio del suo operato. L’anno prima, infatti, in occasione di quella che la storiografia italiana definì la battaglia degli Altipiani, mentre per quella austriaca fu la Strafexpedition, Cadorna focalizzò l’importanza del Monte Grappa come pilastro difensivo. Nel momento in cui il fronte isontino crollò dopo Caporetto, la linea di resistenza che aveva il suo secondo caposaldo sul fiume Piave era stata ben studiata ed il Grappa in particolare era stato fortificato e attrezzato con una strada militare. Nella conferenza di Peschiera Vittorio Emanuele III potè così respingere le esortazioni degli alleati anglo-francesi che facevano pressioni affinché il Regio Esercito si arroccasse su una linea difensiva più arretrata. D’altro canto già al momento dell’entrata in guerra dell’Italia Cadorna, da poco subentrato al vertice della macchina bellica, aveva dato prova delle sue capacità organizzative: scoprì solamente a cose fatte che il Patto di Londra aveva portato l’Italia a cambiare alleanze e quindi un esercito schierato sulla difensiva sulle Alpi occidentali dovette spostarsi in assetto offensivo sul fronte dell’Isonzo. 

In un conflitto che soprattutto per gli italiani del Trentino, della Venezia Giulia, di Fiume e della Dalmazia rappresentò una Quarta guerra d’indipendenza necessaria al perfezionamento dell’unificazione nazionale avviatasi nel Risorgimento, Cadorna occupa un posto di rilievo. Luci e ombre hanno poi caratterizzato la sua fama, ma è grave fermarsi agli stereotipi per cancellare frettolosamente e proprio nella città che gli dette in natali il nome di un protagonista della storia patria.

Lorenzo Salimbeni

Corriere della Sera - 17/12/2021
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