La cerimonia istituzionale del Giorno del Ricordo 2024 al Quirinale

Il Quirinale ha accolto nuovamente la cerimonia istituzionale del Giorno del Ricordo: una cornice prestigiosa in cui le associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati sono state accolte per raccontare la propria storia, ricordare le sofferenze delle foibe e dell’esodo e guardare al futuro con la consapevolezza di essere finalmente a pieno titolo nella storia italiana.

Fin dall’inizio ci sono state emozioni forti, grazie alla proiezione in anteprima di uno spezzone del docufilm in fase di realizzazione Kevina Jama – La foiba grande in cui si ricostruisce la storia della fine di Mate Cipčić Bragadin, giudice in pensione infoibato senza processo dai partigiani comunisti jugoslavi nei pressi di Spalato nel settembre 1943. Due sue discendenti vanno alla ricerca di questa foiba per deporre un mazzo di fiori, ma fanno anche cadere un sasso in quella voragine carsica ed è angosciante rendersi conto di quanto tempo ci metta per toccare il fondo. A centinaia sono stati scaraventati spesso ancora vivi in quell’abisso dai titini: italiani e croati, militari e civili, uomini e donne…

Lada e Alessandra Rivaroli, le due protagoniste, erano presenti anche loro al Quirinale ed hanno portato un messaggio in cui non c’era rancore, c’era la speranza che le nuove generazioni non commettano più simili atrocità. Atrocità che sono echeggiate nella lettura da parte dell’attrice Viola Graziosi di brani tratti da Bora. Istria, il vento dell’esilio di Anna Maria Mori e Nelida Milani e da Chi ha paura dell’uomo nero?, il romanzo di Graziella Fiorentin che ha ispirato la fiction Rai La rosa dell’Istria andata in onda lunedì scorso (quasi 3 milioni di spettatori). Di fronte alle violenze titine, paura, smarrimento e incertezza si propagarono tra gli italiani della Venezia Giulia, di Fiume e di Zara dopo il collasso italiano dell’8 settembre ed in maniera ancora più tragica a guerra finita.

Il Presidente della federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati, Giuseppe de Vergottini, ha quindi  ricordato che vent’anni fa, con l’istituzione del Giorno del Ricordo, «al mondo degli esuli veniva ridata voce non soltanto per ricordare ma soprattutto per far conoscere anche a chi ignorava quegli eventi, una realtà facente parte della nostra storia nazionale e costruire così una comune memoria che coinvolgesse anche le più giovani generazioni». In tal senso particolarmente proficua è stata e continua ad essere la collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, con il quale vengono organizzati seminari di formazione per i docenti, progetti didattici ed il concorso scolastico 10 Febbraio, i cui vincitori sono stati premiati dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a margine di questa cerimonia. La sinergia con il Ministero degli Esteri e con il Ministero della Cultura consente alle associazioni della diaspora giuliano-dalmata di sviluppare progetti con cui far conoscere la storia dell’italianità della frontiera adriatica, ma l’auspicio che è stato formulato riguarda la costituzione di una Fondazione con un capitale sociale di partenza costituito dai risarcimenti che Slovenia e Croazia devono all’Italia in quanto Stati successori della Jugoslavia nei doveri del Trattato di Osimo. FederEsuli sta inoltre collaborando con la Farnesina e con l’Unione Italiana per una mappatura delle foibe: «Può sembrare inimmaginabile, ma sulle centinaia di luoghi delle uccisioni mancano segni di riconoscimento. Ai famigliari delle vittime non viene riconosciuta la possibilità di una presenza e di un atto di umana pietà». L’intervento di de Vergottini si è concluso auspicando che venga convocato il tavolo tecnico presso cui l’associazionismo della diaspora adriatica si deve confrontare con il Governo per risolvere questioni ancora aperte che riguardano la storia e le aspettative del popolo dell’Esodo.

L’esecuzione dell’Orchestra di archi del Conservatorio
G.Tartini di Trieste

Tra le autorità convenute spiccavano il Presidente del Senato della Repubblica Ignazio La Russa, il Vicepresidente della Camera dei Deputati Fabio Rampelli, il Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera, il Presidente del Consiglio regionale del Veneto Roberto Ciambetti, il Sindaco di Trieste Roberto Dipiazza ed il suo collega di Verona Damiano Tommasi.

L’orchestra d’archi del Conservatorio Tartini di Trieste ha fornito dei piacevoli intermezzi musicali, mentre molto toccante è stata la testimonianza di Egea Haffner, la bambina con la valigia della celeberrima fotografia diventata simbolo dell’Esodo. Una bambina che ha perso il padre sequestrato dai partigiani jugoslavi e mai più tornato a casa, una bambina che ha affrontato i primi anni dell’esilio in sistemazioni di fortuna ma evitando almeno le atroci condizioni dei Centri Raccolta Profughi, una bambina che adesso è cresciuta e racconta nelle scuole la sua storia non con rancore, non con disperazione, ma auspicando che i giovani non debbano subire quel che è capitato a lei e possano vivere in pace.

Il Presidente Sergio Mattarella saluta Egea Haffner, bambina ritratta nella foto simbolo
dell’esodo in occasione della celebrazione del “Giorno del Ricordo”
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

C’è stata quindi una lectio magistralis sintetica ma estremamente efficace del Prof. Davide Rossi, storico del diritto dell’Università degli Studi di Trieste, il quale ha ripercorso le tappe del dopoguerra giuliano-dalmata a partire dalla mancata partecipazione degli elettori della Circoscrizione elettorale Venezia Giulia e Zara alle votazioni del 2 giugno 1946, per proseguire con l’imposizione di un Trattato di Pace che è stato un vero e proprio diktat: non essendo stati interpellati per esprimere la propria volontà come il principio di autodeterminazione dei popoli avrebbe voluto, istriani fiumani e dalmati si espressero con l’esodo, venendo «definiti “fascisti” semplicemente perché lasciavano luoghi in cui il socialismo reale trasformava in pubblico ciò che prima era privato, dissacrava le Chiese, costringeva a parlare lingue diverse, senza valutare le motivazioni di un esodo totale». Secondo Benedetto Croce il Trattato era «non solo la notificazione di quanto il vincitore chiede e prende, ma un giudizio morale e giuridico sull’Italia e la pronuncia di un castigo da espiare. Se la dignità e l’orgoglio dell’Italia erano state umiliate dalle prepotenze e dalle cupidigie internazionali, non vi era motivo per cui si doveva approvare un testo i cui dettami sarebbero stati comunque messi in esecuzione, a prescindere dalla volontà interna». Pure Vittorio Emanuele Orlando, Ivanoe Bonomi e altri autorevoli rappresentanti del vecchio Stato liberale fecero sentire il proprio dissenso di fronte alla necessità di firmare una pace così onerosa «che mescolava all’acre senso della sconfitta quello dell’umiliazione». Il Trattato di Osimo avrebbe poi chiuso in maniera frettolosa ed impropria la vertenza confinaria con la Jugoslavia nel 1975, mentre la caduta del Muro di Berlino ha consentito finalmente di approcciare con maggiore serenità queste pagine di storia nazionale, avviando un percorso che è culminato con l’istituzione della ricorrenza civile del 10 Febbraio.

L’intervento di Davide Rossi, Professore di Storia e Tecnica delle
costituzioni europee presso l’Università degli Studi di Trieste
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

«Carabinieri, finanzieri, civili di tutte le professioni, sacerdoti: una  componente fondamentale della società della Venezia Giulia fu inghiottita o costretta all’esilio»: così il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani, intervenuto a nome del Governo, presente con la Premier Giorgia Meloni ed i Ministri della Cultura Sangiuliano, degli Interni Piantedosi, dello Sport e dei Giovani Abodi, della Difesa Crosetto e dell’Istruzione e del Merito Valditara. Il titolare della Farnesina ha quindi ricordato il martirio di sacerdoti come Don Bonifacio (beatificato in quanto martirizzato in odium fidei) e Don Tarticchio, ma anche la fine delle sorelle Radecchi e della tredicenne Alice Abbà, vittime anch’esse delle stragi compiute dai partigiani jugoslavi: «Foibe ed esodo furono veri e propri atti di pulizia etnica – ha sottolineato Tajani – che hanno anticipato la pulizia etnica e le tragedie che hanno accompagnato la dissoluzione della Jugoslavia. Nel 2004 abbiamo istituito il Giorno del Ricordo come doveroso omaggio ai nostri connazionali, non per riaprire antichi conflitti: i responsabili delle stragi, ispirati dal comunismo, un’ideologia sconfitta dalla storia, sono morti da tempo e gli Stati successori della Jugoslavia non hanno responsabilità. Slovenia e Croazia sono con noi nell’UE e nell’Alleanza atlantica, l’adesione dei Balcani occidentali all’Unione Europea è uno degli obiettivi di questo Governo». È stato, infine, ricordato come esempio da seguire per il futuro che nel 2025 Gorizia sarà Capitale Europea della Cultura assieme alla slovena Nova Gorica.

L’intervento di Antonio Tajani, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Analogo riferimento a Gorizia è stato fatto pure dal Presidente Sergio Mattarella, il quale ha anche contestualizzato a livello europeo le tragedie del confine orientale italiano: «Nell’Europa orientale subito dopo la liberazione dal nazifascismo iniziò una nuova dittatura e milioni di persone furono costrette ad abbandonare le proprie case e le terre in cui vivevano radicati da secoli. Analogamente migliaia di italiani finirono massacrati nelle foibe o inghiottiti dai campi di concentramento jugoslavi, decine di migliaia furono costretti all’esilio di fronte alla minaccia dell’eliminazione fisica. L’Italia fascista aveva contribuito a scatenare la guerra, ma gli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia hanno pagato le conseguenze più gravi della guerra». Il Capo dello Stato ha stigmatizzato la diffidenza se non l’ostilità con cui i profughi giuliano-dalmati furono spesso accolti in Italia, trovandosi nella triste condizione di sentirsi esuli nella propria patria.

«Il fascismo fu intollerante e crudele verso le popolazioni slave – ha proseguito Mattarella – ma nelle foibe e nei campi di prigionia finirono italiani che non c’entravano nulla con Mussolini, perfino partigiani antifascisti che aspiravano ad un futuro di democrazia e liberta e si opponevano all’annessione dei loro territori ad una dittatura comunista. I tentativi di oblio, negare o minimizzare tali tragedie sono un affronto alle vittime ed alle loro famiglie: il Giorno del Ricordo è servito a connettere la memoria collettiva a quelle sofferenze»

Il Presidente Sergio Mattarella rivolge il suo indirizzo di saluto in occasione della celebrazione del “Giorno del Ricordo”
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

La cerimonia del Quirinale è stata molto apprezzata dal Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Renzo Codarin: «Devo dire che sono molto soddisfatto per la scelta delle letture e per i discorsi fatti dal Presidente de Vergottini, dal Professor Rossi, dal Ministro Tajani e naturalmente dal Presidente Mattarella. Anche la presenza della Presidente del Consiglio Meloni con tanti Ministri dimostra che c’è molta attenzione nei nostri confronti. Dobbiamo essere orgogliosi del lavoro che l’ANVGD e le associazioni sorelle hanno fatto in tutti questi anni in tutta Italia, sempre ricordando le nostre terre con amore e senza rancore. Viva l’Italia!»

Lorenzo Salimbeni 

 

 

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