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La Bosnia guarda all’Europa ma la strada è ancora lunga (Ansa 03lug13)

Il “‘limes”‘ dell’Unione europea si è stabilizzato nel cuore dei Balcani, sugli oltre 1.300 chilometri dell’esteso confine di terra che separa la Croazia, appena sorta 28esima stella dell’Unione, dal resto della regione. E oltre la frontiera c’è chi si augura di seguire un giorno le orme di Zagabria. Ma la strada verso l’Ue è ancora lunga per la Bosnia-Erzegovina, a causa di un’economia in panne e di una classe politica incapace di risolvere i problemi concreti dei suoi quasi quattro milioni di cittadini.

Un Paese ancora frammentato su base etnica, diviso in due entità autonome – la Federazione croato-musulmana e la Republika Srpska – con debolissime istituzioni centrali non idonee a portare avanti le riforme richieste dall’Ue. Riforme-chiave come quelle, ricordano i documenti della Delegazione dell’Ue in Bosnia, della legge sugli aiuti di Stato alle imprese e soprattutto quelle che dovranno portare al pieno rispetto della sentenza anti-discriminazione della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Sejdic-Finci, specifica un rapporto di Human Rights Watch.

La Bosnia-Erzegovina, nel frattempo, rimane sospesa in un limbo. L’unica reale conquista ‘‘europea’’ della sua classe dirigente è stata quella di convincere Bruxelles ad abolire, nel 2010, l’obbligo dei visti per i cittadini che vogliono viaggiare per turismo in Europa. Troppo poco, anche perché non sono tanti i bosniaci che possono permettersi di lasciare il Paese per svago.

I numeri, quelli ad esempio di Eurostat, parlano fin troppo chiaro. Il Pil pro capite della Bosnia-Erzegovina è solo il 28% di quello della media Ue a 27, superata di poco anche dall’Albania (30%), dalla Serbia, dalla Macedonia (35%) e dal Montenegro (42%). La disoccupazione si attesta intorno al 40%, mentre un 20% circa della popolazione vive a cavallo della soglia di povertà. L’economia, infine, dopo la recessione del 2012 crescerà solo di uno 0,5% quest’anno, ricorda la Banca Mondiale, rallentata dalla crisi nell’Ue ma anche da un debole business environment e da una politica fiscale non sostenibile nel lungo periodo, focalizzata più sulla redistribuzione del reddito che sulla crescita.

E mentre a Zagabria si festeggia, in Bosnia si osserva anche con una certa apprensione l’adesione della vicina Croazia all’Ue, causa negative e immediate ricadute per Sarajevo e Banja Luka. La più grave, il fatto che la Bosnia-Erzegovina non potrà più esportare latte e prodotti caseari ma anche molti tipi di agroalimentari in Croazia, come in precedenza, un mercato che vale circa 30 milioni di euro all’anno, spiega ad ANSA Nuova Europa Srecko Latal, analista dell’International Crisis Group per la Bosnia. Latal ricorda che l’associazione dei produttori della Republika Srpska potrebbe presto scendere in piazza per protestare perché, a loro dire, il governo in Bosnia non avrebbe fatto nulla per preparare il Paese al nuovo scoglio.

Da settimane il Paese è scosso da altre proteste di piazza, in particolare a Sarajevo, per la nota questione dei ‘‘numeri personali’’, lucidamente descrittiva dell’incapacità dei leader politici locali di impegnarsi per il bene dei cittadini. Visto lo scenario, è possibile immaginare un futuro Ue per il Paese? Sembra che al momento, con l’attuale élite politica, la strada verso l’Europa sia chiusa almeno fino alla salita al potere di una nuova classe dirigente, risponde Latal. Chi ora governa, infatti, o non è capace o non vuole fare quanto necessario per portare il Paese prossimo all’Ue. Ma una significativa porzione di responsabilità, chiosa l’influente analista, è della comunità internazionale, l’Ue in testa, che si è focalizzata sull’incalzare la Bosnia in relazione alle riforme costituzionali, estremamente complesse a causa degli Accordi di Dayton, invece che, ad esempio, concentrarsi su questioni tecniche, commercio, infrastrutture. Le riforme costituzionali sono sicuramente importanti, chiosa Latal, ma posticipabili in futuro e oggi diventano un’asticella fissata da Bruxelles troppo in alto per un Paese che osserverà a lungo il ‘‘limes’’, senza poter sperare realisticamente che esso si sposti ancora verso sud, abbracciando anche la Bosnia-Erzegovina.

Il posto della Bosnia rimane in Europa: non ci sono alternative, afferma Predrag Prastalo, presidente del Movimento europeo (‘‘Evropski pokret’’) nel Paese balcanico. Per la Bosnia, assicura Prastalo ad ANSA Nuova Europa, è di grande importanza l’ingresso della Croazia nell’Ue, perché Zagabria nei modi più pragmatici sarà un partner di Sarajevo nel processo d’integrazione europea e rappresenta una chance che la Bosnia può e deve sfruttare. Allo stesso tempo, per la Bosnia è di estrema rilevanza l’apertura dei negoziati d’adesione con la Serbia, un messaggio chiaro che significa che con l’ingresso croato non si chiudono le porte dell’Ue per il resto dei Balcani e un passo strategico fondamentale, perché una futura forte Serbia europea potrà fungere da esempio ai serbo-bosniaci, come la Croazia per i croati di Bosnia. Le porte, nel caso bosniaco, si apriranno pero’ solo quando ci sarà una sincera volontà politica da parte dei leader oggi al potere. Tuttavia, per ora i leader guardano più ai propri interessi politici, nazionali e partitici, non premono in particolare sulle riforme del sistema giudiziario e sulla lotta alla corruzione – temendo, con leggi più moderne, di fare la stessa ingloriosa fine dell’ex premier croato Sanader, suggerisce Prastalo.

Anche per questo la Bosnia rimane il ‘‘buco nero’’ del processo d’integrazione europea. Ma la situazione deve cambiare, quanto prima, per il bene di Sarajevo e per la stabilità dell’intera regione balcanica.

Stefano Giantin
www.ansa.it 3 luglio 2013

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