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Jovanka Broz, l’ultima ombra di un regime totalitario – 21ott13

Scompare con la vedova di Tito, Jovanka, una delle ultime, se non l’ultima, delle figure – peraltro secondarie, nonostante il ruolo pubblico esercitato per molti anni – del defunto regime jugoslavo, assurta a notorietà internazionale per essere consorte del maresciallo Tito e negli anni durante i quali il dittatore, inventandosi l’astuta formula dei «Paesi non allineati», terzi rispetto ai due grandi blocchi occidentale e orientale, si conquistò il favore delle democrazie europee. Approdata da umile condizione contadina alla funzione di première dame dall’aspetto abbastanza ingombrante e un po’ rétro già ai suoi tempi nonostante prediligesse l’alta moda francese, amasse i gioielli vistosi, le auto di lusso e conducesse una vita a suo modo principesca, la si ricorderà ricevuta con il marito pluri-medagliato da sé dalla regina Elisabetta II, dal premier indiano Nehru, da Papa Paolo VI, da Brežnev e Fidel Castro, da Nixon e dal Presidente della Repubblica Saragat nel 1971.

Le fotografie d’epoca la ritrassero sorridente a Brioni, sulla lussuosissima e assai kitsch Cadillac, ben cotonata e calata nel suo ruolo di consorte dell’ormai imbolsito e caricaturale eroe della resistenza comunista in quel caotico scenario della Jugoslavia dilaniata, sino al 1943-’44, da fronti resistenziali opposti e tutti comunque sanguinari e impossibili.

Il declino di Jovanka iniziò con la morte del maresciallo, nel 1980, ovvero con il principio della fine di quell’entità statuale fittizia che prese a sfaldarsi venendo meno il collante unico dell’epopea nazional-comunista ben interpretata dal dittatore a suon di deportazioni ed eliminazioni (anche all’estero) degli avversari politici. Per non parlare degli efferati eccidi e delle sistematiche violenze dei suoi partigiani nei confronti della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia e delle mortificazioni inferte alla residua comunità nazionale italiana, soggetta alla più stretta e umiliante obbedienza al verbo nazionalista e ideologico del titoismo.

Cacciata dal palazzo presidenziale di Belgrado, le fu assegnato un piccolo alloggio privo dei minimi e comuni servizi, le fu ritirato il passaporto e rimase per molti anni del tutto isolata dal resto della società, «privata di qualsivoglia diritto» come ebbe a lamentarsi nelle rare interviste rilasciate, e priva di una pensione sino al 2009. A suo modo la signora Jovanka, ridotta via via all’indigenza da un Paese, il suo, ripiombato nella antiche rivalità e diffidenze poi sfociate nelle terribili guerre degli anni Novanta, è stata una pur marginale icona di un tempo e di un ordine mondiale che ci pare oggi enormemente lontano e per fortuna del tutto svanito.

Sarebbe banale ed eccessivo asserire che con la sua scomparsa si spegne l’ultimo personaggio di una scena sulla quale è da tempo calato un pesante sipario. Lei è sopravvissuta abbastanza malamente per molti anni, spinta ai margini del ricordo e della società, ampiamente dimenticata come un vecchio e ormai insignificante souvenir di un’epopea che neppure i nostalgici del titoismo – a quanto consta – hanno mai rispolverato nelle loro manifestazioni commemorative. È vissuta all’ombra del carisma del maresciallo, fatta oggetto già a suo tempo alla corte belgradese di malevole attenzioni e aperte ostilità nelle ovvie lotte di potere palesatesi il giorno dopo i funerali di Tito. Finì rapidamente per essere una presenza scomoda negli ambienti politici jugoslavi: «era il primo ostacolo alla disgregazione della Jugoslavia – ha scritto in queste ore un sito d’informazione serbo – e doveva essere rimosso».

Non è proprio accertato che sia così, e non sembra sia importante, per la storia di quei decenni e di quell’area, verificarlo. Scompare con lei l’ultima ombra di un regime totalitario al cui vertice erano prediletti e praticati i migliori vezzi delle società borghesi e benestanti mentre dissidenti e minoranze, perseguitati all’estero e all’interno, conoscevano il lato ‘b’ del comunismo di Tito, così apparentemente rassicurante per il mondo libero che doveva pur aggrapparsi al cuscinetto jugoslavo per non sentirsi il sovietico dietro l’uscio di casa.

Patrizia C. Hansen per ANVGD Sede nazionale

 

 

 

Nell’immagine dell’Istituto Luce, l’arrivo nel 1971 di Tito e Jovanka all’aeroporto di Ciampino

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