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Istria e Carinzia (Unione Istriani set-ott 09)

di Lino Vivoda (Consigliere nazionale onorario ANVGD ndr)

Gli intensi rapporti tra l'Unione degli Istriani e la Carinzia, culminati con la recente gita di tre giorni a Klagenfurt, mi han­no richiamato alla mente la storia di mia zia Fanny.

Zia Fanny (Francesca) era un pozzo di scienza spicciola e di buonsenso acquisiti durante una variegata esperienza di vi­ta vissuta. Nata Clarich in una frazione (Jursania) di San Dona­to in Istria nel territorio di Pinguente, aveva seguito ventenne a Pola la sorella Maria (mamma di Papà) andata sposa di uno dei Vivoda di Sergobani, in quel di Sovignacco, in linea d'aria di­stante alcune centinaia di metri dal loro luogo di nascita.

Giovanni, il marito della sorella, uno degli otto figli maschi di Giovanni Vivoda, antica gente la cui presenza in Istria è at­testata già nel 1300, aveva iniziato a Pola un'attività commer­ciale aprendo in via Abbazia una rivendita di pane e latte ed un magazzino di vini in Piazza Foro ed ottenendo subito un buon avviamento in quanto i locali erano situati vicino al porto mili­tare con possibilità quindi di un'attività sempre crescente dato lo sviluppo che in quegli anni l'imperial-regia Marina austria­ca dava alla città.

In quegli anni si sviluppava anche a Pola, nell'ambiente operaio dell'Arsenale, il socialismo e zia Fan­ny, conosciuto un "agitatore" socialista, come venivano definiti allora i politicamente impegnati nel partito operaio, Francesco Viezzoli, attivo tra Pola e Fiume, lo sposò. Rimase però presto vedova ancora giovanissima.

Perfettamente trilingue (italiano, croato e tedesco) si fece una vasta cultura sui libri del defunto marito sprofondando­si nella lettura per annegare il proprio dolore. All'inizio del­la Prima Guerra mondiale, zia Fanny sposò in seconde nozze Alphons Egger, un carinziano di Klagenfurt, alto ufficiale del genio navale austro-ungarico ed alla fine della guerra, quando arrivarono a Pola le truppe italiane ed il marito fu rimpatriato, con le migliaia di soldati che popolavano l'imponente base na­vale, lo seguì in Austria dove si stabilirono.

Ma per zia Fanny la guerra non era ancora finita.
Alla fine del conflitto le truppe del nascente Stato dei Ser­bo-Croati-Sloveni aspiravano ad annettersi, tra gli altri terri­tori, anche parte della Carinzia ed iniziarono a penetrare nel Land approfittando dello sfacelo dell'esercito austro-ungarico. Zia Fanny col marito si piazzarono con un cannoncino all'im­bocco di un ponte assieme ad un gruppo di volontari, per la maggior parte studenti armati di rivoltelle, e bloccarono l'attra­versamento del ponte alle truppe nemiche: ogni qualvolta que­ste si affacciavano per iniziare l'avanzata sparavano col can­none appoggiati dal fuoco di fucileria dei volontari. Zia Fanny caricava il cannone ed il marito puntava e faceva fuoco. Resi­stettero fino all'arrivo delle truppe italiane ed interalleate che presidiarono la regione sino al Volksabstimmung (il plebiscito) dell'ottobre del 1920, che consacrò la volontà dei carinziani di rimanere austriaci.

Zia Fanny ebbe dal Governo austriaco la Croce al Valore dei Combattenti volontari per la Carinzia 1918-19, con la scrit­ta Fùr Heimat ed ornata con il nastrino giallo-rosso-bianco dei colori carinziani, che conservo orgogliosamente tra i cimeli nel mio studio .

Allo scoppio della seconda guerra mondiale la zia si arruo­lò nelle crocerossine prestando la sua opera all'ospedale milita­re di Sankt Pòlten ed acquisendo una grande pratica infermieri­stica. La fine della guerra la trovò nel villaggio di Gòttweig, in una villetta ai piedi della collina dell'omonimo convento. Qua sistemò nelle grandi cantine un pronto soccorso per i soldati te­deschi che si ritiravano combattendo contro i russi, alloggian­do i feriti più gravi, ed allorché l'Armata sovietica giunse nel paese accolse i loro feriti nel primo piano della casa, cosicché curava tedeschi e russi facendosi capire da questi in croato. E vedendo la sua opera caritatevole – i moribondi la chiamava­no Muti o Maika a seconda della loro nazionalità – e grazie al­la sua capacità di parlare coi russi non ebbe alcun fastidio, ma molta riconoscenza da tutti. Lo constatai di persona la prima volta che andai a trovarla in Austria, nella zona allora di occu­pazione russa nella quale viveva.

Quando mi arrivò il telegramma del parroco annunciante la morte di zia Fanny, a ottantasei anni, io dovevo prendere ser­vizio a Imperia lo stesso giorno del suo funerale, avendo vin­to il concorso al Ministero del Lavoro, e non potevo rischiare di perdere il posto. Andò Papà, che avendo fatto le scuole sot­to l'Austria parlava perfettamente il tedesco. Ci raccontò che il paese aveva tributato a zia Fanny un funerale solenne con tutte le scolaresche, la banda musicale ed un gran concorso di gente.

Il Borgomastro tenne un elogio funebre al Cimitero, ricor­dando il suo impegno nella difesa dell'Austria e come grazie a lei i soldati russi risparmiarono Gòttweig dalle devastazio­ni. Venne ricordata da tutti come Frau Fanny l'eroina istriana.

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