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Intervento di Antonio Ballarin (Presidente FederEsuli) alla presentazione del libro “Protagonisti senza protagonismo” – 23set15

 

Le storie che vengono raccontate nel libro di Viviana Facchinetti non riguardano emigranti ma profughi.

Una differenza sostanziale perché si tratta non di persone che sono andate via dalla propria casa e dalla propria terra per cercare fortuna altrove, ma, piuttosto, di persone che sono andate via per salvare la propria vita con la certezza (consapevole o inconsapevole) che non avrebbero mai più visto la propria terra. Cioè che avrebbero perso la propria identità.

A tutti è noto il massacro di Srebrenica, avvenuto nel luglio del 1995 ed è dall’ultima guerra balcanica che viene usata nel linguaggio comune con frequenza la dizione ‘pulizia etnica’.

Ebbene le persone protagoniste di cui oggi parliamo, sono parte di un popolo che ha subito una ‘pulizia etnica’ a cavallo della seconda guerra mondiale, dal ‘43 fino a tutti gli anni ‘50 (via da quella terra continuarono a scappare persone fino alla metà degli anni ‘60).

Una pulizia etnica attuata in maniera organizzata e pianificata dalle milizie del Maresciallo Josip Borz detto Tito, ovvero dal nazionalismo slavo coperto ideologicamente dalla dottrina comunista (prima stalinista poi titoista, appunto) o, se si vuole, una pulizia etnica attuata dall’ideologia comunista potenziata del nazionalismo slavo, a sua volta istigato, nel secolo precedente, dall’Austria-Ungheria.

Questo popolo ha vissuto ed ancora vive la negazione di una serie di diritti internazionali, riconosciuti a molti, ma, evidentemente, non a tutti e, di certo, non a questa parte di nazione italiana che solo con la legge 92 del 2004 ha tentato di colmare la colpevole lacuna di un silenzio il quale, in effetti, non ha mai smesso di chiedere giustizia.

Quali sono questi diritti negati? È bene ricordarli in questa sede.

Furono violati i diritti circa l’autodeterminazione dei popoli e della loro forma di governo, previsti dalla Carta Atlantica dell’agosto 1941, dalla Conferenza di Yalta del febbraio 1945, dallo Statuto delle Nazioni Unite siglato a San Francisco nel giugno del 1945 e ribaditi, successivamente ad Helsinki nell’agosto del 1975.

Fu violato il diritto alla vita, garantito per “i gruppi umani, nazionali, religiosi, politici”, in spregio alla Risoluzione del dicembre 1946 delle Nazioni Unite sul Crimine di Genocidio e dalla seguente Convenzione stabilita dall’Assemblea Generale dell’ONU nel dicembre del 1948.

Furono violati i diritti stabiliti dall’articolo 9 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948, che vieta l’arbitrario arresto, la detenzione o l’esilio forzato.

Furono violati i dritti previsti dagli Allegati VI e XIV del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, in cui veniva esplicitamente dichiarato che: “i beni, i diritti e gli interessi dei cittadini italiani residenti permanenti nei territori ceduti alla data dell’entrata in vigore del Trattato dovevano essere rispettati”, e restituiti ai legittimi proprietari.

Gli stessi diritti venivano violati in base a quanto stabilito dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e le Libertà Fondamentali, siglato a Roma nel novembre del 1950, nonché da quanto sancito a Parigi, nel marzo 1952, dove all’articolo 1 si legge che: “ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni [poiché] nessuno può essere privato della sua proprietà”.

Non venne rispettata nemmeno la Dichiarazione di Vancouver del dicembre 1976 (Report Habitat I) in cui si legge che: “Tutti i Paesi hanno il dovere di cooperare pienamente per garantire che le parti interessate permettano il ritorno delle persone alle loro case”.

Infine è importante citare il più macroscopico diritto negato:

Lo Stato italiano dell’era fascista dichiarò guerra alla Jugoslavia.

L’Italia perse la guerra.

L’Italia, anziché imporre tasse a tutto il popolo italiano, per pagare i debiti di guerra, risarcì la Jugoslavia con i beni privati dei profughi, riservandosi, successivamente, di ripagare i profughi per l’esproprio subito. Però, gli importi erogati a compensazione delle proprietà nazionalizzate è stato solamente pari al 5-7% del valore di mercato del bene. Non solo, mentre ad un’altra fascia di altri esuli (quelli provenienti dalle ex-colonie), i coefficienti di rivalutazione dei beni erano e sono di un certo tipo, i coefficienti applicati per i beni degli esuli giuliano-dalmati (italofoni autoctoni) si sono rivelati essere molto inferiori, in chiarissima violazione di quanto sancito dall’articolo 3 della Costituzione repubblicana (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”)

In un mondo che grida per la tutela dei diritti degli animali, questi italiani dimenticati sono ancora in attesa dopo molti decenni.

Il lavoro di Viviana racconta le storie di una parte di questo popolo che per sopravvivere ha espatriato, ovvero che per vedere rispettati una parte di questi diritti negati si è rimboccata le maniche per ricostruirsi una vita in un Paese lontano dall’Italia, esattamente come operarono anche coloro i quali restarono in Italia, con il ‘solo’ aggiuntivo elemento di frustrazione riguardante l’ulteriore perdita della propria identità residua.

Questo lavoro è un’opera importantissima per il nostro popolo disperso per il mondo, poiché permette di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti di grande attualità.

Innanzitutto indica un metodo per ricucire connessioni e relazioni spezzate e causato un dramma di cui se ne constatano ancora oggi le ferite.

In secondo luogo, se letto con attenzione, richiama alla nozione dell’essere ‘profugo per il mondo’.

È sorprendente come in merito all’odierna ‘emergenza profughi’ nessuno di quanti furono soggetti a quella condizione sia stato contattato dalle Istituzioni. È come se la Storia non insegnasse nulla, come se l’esperienza maturata da una parte di Nazione non interessasse e/o non potesse illuminare ‘oggi’ sul significato di ‘profugo’, su come gestire un’emergenza, su come intervenire per alleviare i dolori della gente.

I profughi di allora erano diversi da quali di oggi, ovviamente, ma l’essere ‘sradicato senza averlo voluto’ è un’esperienza che non ha nulla a che fare con il luogo da cui si proviene, con la ‘razza’ di appartenenza od il credo religioso. È un’esperienza umana che può essere compresa solamente da chi la ha vissuta sulla propria pelle.

Dentro il dramma dell’esodo giuliano-dalmata prese vita quella realtà che fu denominata ‘Opera per l’Assistenza ai Profughi’ e questa esperienza umana è a disposizione delle odierne Istituzioni.

Occorre tenere presente che per un profugo il dramma più grande non è la mancata accoglienza, poiché, questa, è già messa in conto. Infatti, un profugo, ovunque sarà costretto ad andare, sa già che non troverà mai ‘adeguata’ accoglienza.

La ferita più grande per un profugo è, invece, lo ‘sradicamento violento dalla propria radice’ ovvero, la violenza per l’eliminazione della propria identità che nel libro di Viviana emerge con chiarezza.

Le nostre Associazioni sanno perfettamente che l’unico modo per lenire il dolore di un esule è quello di farlo tornare ‘in pace’ al paese da cui proviene, perché l’esule, se morirà lontano dalla propria identità morirà triste. Almeno questa è l’esperienza che abbiamo vissuto nelle nostre comunità assistendo poveri nostri amici che fino alla loro morte chiedevano di tornare.

Noi questo lo sappiamo bene e se qualcuno ci chiedesse cosa fare per coloro che vivono lo status di profugo, come è stato per la gente nostra, sapremmo ben trasferire a chi governa queste anime, linee guida per fare in modo che il profugo se ne ritorni ‘in pace’ (con un lavoro, con una protezione, con una rete sociale di supporto, ecc.) nella propria terra, nella sua casa e, soprattutto, come fare per custodire la cosa più preziosa: la sua identità.

 

Antonio Ballarin

Presidente FederEsuli

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