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Indipendenza Kosovo: il pericolo è il contagio (Il Piccolo 25 lug)

di GIGI RIVA

Una sentenza all’Aja rischia di provocare un terremoto in diversi luoghi della terra. Perché, nel mondo globalizzato, non è solo l’economia a essere interconnessa ma anche la politica e il suo prolungamento con altri mezzi: la guerra.

Il pronunciamento, giovedì scorso, della Corte di giustizia dell’Onu sulla ”legalità” della proclamazione d’indipendenza del Kosovo apre la strada a rivendicazioni analoghe, soprattutto nei sempre turbolenti e mai completamente sedati Balcani. Il leader dei serbi di Bosnia-Erzegovina Milorad Dodik si è già affrettato a ventilare la secessione della sua ”entità” da Sarajevo per poi, magari, riunirsi ai fratelli separati oltre la Drina (una Piccola-Grande Serbia?). E ha aggiunto: «Da molto tempo non ci piace più fare parte della Bosnia-Erzegovina». Succedesse, l’esempio potrebbe stimolare il desiderio dei croati di Erzegovina (culla di Ante Pavelic e del nazionalismo più estremo) di ricongiungersi con Zagabria. La minoranza ufficiale (ma maggioranza reale se un giorno si decidesse un serio censimento) degli albanesi di Macedonia potrebbe tentare una strada analoga sull’asse Gostivar-Tetovo, dove è già attiva da diversi anni una frequentatissima università in cui si insegna, oltre alle materie tradizionali, a sognare la Grande Albania che comprenderebbe, perché no?, anche il Kosovo ora indipendente. La separazione di un ingrediente fondamentale della Macedonia potrebbe provocare l’esplosione dello Stato e compattamenti su base nazionale: i serbi del Nord con la Serbia, i bulgari dell’Ovest con la Bulgaria, i greci del Sud con la Grecia. Gli Stati dei Balcani si ridisegnerebbero secondo linee di omogeneità etnica. Esattamente quello che si era cercato di evitare agli inizi degli Anni Novanta quando la Jugoslavia implose.

Entrarono in conflitto allora i due principi inconciliabili che erano stati definiti a Helsinki nel 1975 per regolare i rapporti tra gli Stati: inviolabilità delle frontiere e autodeterminazione dei popoli. Si decise di privilegiare il primo e di prendere per buoni i confini amministrativi interni alla Jugoslavia tracciati da Tito e Kardelj. Per questo fu dato torto ai serbi in Croazia (nelle Krajine sono praticamente scomparsi) e in Bosnia. In Kosovo, dove seguendo quello schema avrebbero dovuto avere ragione, si decise invece per l’autodeterminazione, conseguenza deleteria del proposito, buono, di scongiurare un genocidio in atto.

Così in Europa, con il forte patrocinio degli Stati Uniti, è sorto uno Stato-mafia la cui economia è basata al 90% sui traffici illeciti. Peggio: si è sancito un precedente per il quale gente di diversa etnia è meglio che non viva insieme. Ed è altamente probabile che i serbi che abitano nel Nord del Kosovo, sopra il fiume Ibar, chiedano a loro volta l’indipendenza in un effetto domino senza fine.

La comunità internazionale si è affrettata a ripetere la formula magica per cui «il Kosovo non può costituire un precedente e fa storia a sé». Pia illusone se la sentenza dell’Aja ha già sollecitato appetiti ogni dove. In Abkazia e in Ossezia, nel Nagorno Karaback, in Tibet e nello Xinjjiang, sollevando le ire contro la Corte di pesi massimi come la Russia e la Cina. Vedono meno lontano il traguardo di una futura indipendenza i Paesi Baschi, l’Irlanda del Nord, la Catalogna, i fiamminghi del Belgio che è ”cuore” dell'Unione europea. E se dovesse tornare a fiorire sulla bocca di Bossi la parola ”secessione” anche il Nord Italia avrebbe un appiglio giuridico a cui aggrapparsi.

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