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Il Piccolo – 291007 – 80 anni fa a Trieste la prima compagnia aerea

di Pietro Spirito

La folla si assiepò sulle Rive intorno all’idroscalo galleggiante alla base del Molo Audace nel bacino di San Giorgio. Ma con raffiche intorno ai 60/70 chilometri orari non c’era verso di far decollare i due idrovolanti «Cant 10» diretti a Torino con i primi passeggeri della storia dell’aviazione civile italiana.
Nel salone principale dell’Hotel Savoia, dov’era alloggiata la gran parte delle autorità giunte apposta da ogni parte d’Italia, si tenne di buon’ora una riunione per decidere il da farsi. L’ipotesi di un rinvio non venne neppure presa in considerazione, c’era di mezzo il buon nome dei Cosulich. E di Trieste. Fu allora deciso di far decollare gli apparecchi dalla tranquilla Portorose, protetta dal vento grazie ai colli circostanti.
Cosulich si era preparato e davanti al Savoia c’era una colonna di automobili che in meno di un’ora traghettò invitati e autorità all’hangar della scuola di volo della Sisa, nei pressi del vecchio squero di Pirano. I triestini che speravano di assistere alla partenza rimasero a bocca asciutta a guardare il mare increspato dal vento. Alle 12.02 i due «Cant 10», uno pilotato da Luigi Maria Ragazzi, l’altro da Antonio Majorana, si alzarono in volo dallo specchio d’acqua di Portorose inagurando l’era dei voli di linea in Ialia.
La vicenda dei Cosulich e della Sisa è uno dei capitoli più affascinanti della storia moderna di Trieste. E quanto accadde prima e dopo quel volo inaugurale del 1 aprile 1926 è un catalogo di innovazioni industriali e imprenditoriali, di progetti, collaudi, incidenti. Storie che adesso Carlo d’Agostino e Mario Tomarchio raccontano nel libro «La prima compagnia aerea commerciale italiana» (Aviani & Aviani Editori, pagg. 116, s.i.p.). Un volume – che sarà presentato domani, alle 18, nella sala Baroncini delle Generali – ricco di rare illustrazioni che riassume in 10 capitoli chiari ed esaustivi quella straordinaria avventura che fu la storia della Sisa.
Sbarcati a Trieste nel 1889 con l’idea di far carriera, i fratelli Callisto, Alberto e Fausto Cosulich agli inizi del Novecento sono già affermati armatori navali, ambiziosi al punto che nemmeno la guerra riuscirà a fermarli. Padroni dell’Adriatico nel primo dopoguerra, l’interesse della famiglia per gli aeroplani sboccia nel 1921, quando – scrivono nel libro d’Agostino e Tomarchio – «spinti forse più dalla curiosità per il nuovo mezzo aereo che da reale necessità i Cosulich acquistano un idrovolante biposto FBA tipo H, Franco British Aviation a scafo centrale, utilizzato come ricognitore dalla regia Marina a partire dal 1915 e costruito in 982 esemplari da industrie nazionali, oltre che inglesi e francesi e quindi facilmente reperibile quale residuato bellico».
All’inizio la famiglia Cosulich lo usa come usano i ricchi gli apparecchi volanti, cioè per portare ospiti e amici da Trieste a Portorose, oppure a Brioni o a Venezia. Presto però gli armatori si rendono conto che se il trasporto per mare può dare tanto il trasporto in cielo può fare altrettanto, e forse di più.
Nel 1922 i Cosulich acquistano altri due idorvolanti FBA, rimettono in efficienza alcuni vecchi impianti dell’aviazione militare austriaca e costruiscono un capannone in legno. Nello stesso anno registrano a Trieste la Sisa, Società Italiana Servizi Aerei, con l’intenzione di «esercitare la navigazione aerea, con aeroplani o idropani, sia propri che noleggiati e attendere a tutti quei negozi che stanno in nesso con il trasporto di persone e di merci, coll’acquisto, colla costruzione e riparazione dei mezzi di trasporto, con la reclame aerea e con l’impianto di scuole di piloti».
Ma il colpo di genio è la richiesta, e quindi la concessione, da parte dell’Aeronautica militare, di una scuola di volo per idrovolanti militari a Portorose. «Il contratto con l’amministrazione militare – scrivono gli autori del libro – consente ai Cosulich di migliorare le attrezzature a terra: tre hangar con i relativi scivoli, un’officina per il montaggio e la riparazione degli apparecchi vengono ricavati da un vasto tratto di terreno tolto al mare e interrato». Inizia così la grande avventura aviatoria dei fratelli Cosulich.
Nel 1925 la Sisa è pronta al grande balzo, aspetta solo il piano di sovvenzioni del Governo che viene presto approvato dal Parlamento. Poi, nel 1926, iniziano i voli di linea. Nel 1934, otto anni dopo il decollo dei primi Cant 10 da Portorose, nell’ambito di una riorganizzazione dell’aviazione commerciale generale la Sisa ammaina la bandiera dei Cosulich e alza quella della Sam, che poi diventerà Ala Littoria, e tale resterà fino allo scoppio della guerra.
Il libro d’Agostino e Tomarchio ripercorre questa lunga stagione con dovizia di particolari e aneddoti. Sugli incidenti, ad esempio, come quello che portò il lutto proprio nella famiglia Cosulich, con la morte della figlia di Guido Cosulich, Emma, di appena 10 anni. Il 20 agosto del 1930 la piccola è imbarcata assieme alla nonna materna Ersilia Vidulich e ad altri nove passeggeri sul Cant 22 I-AACL «San Giusto», in volo da Lussinpiccolo a Zara. A un tratto, mentre sorvola l’Isola di San Pietro in Nembi, dall’apparecchio si stacca la pala di legno dell’elica del motore di sinistra. Un frammento sfonda la cabina passeggeri, colpisce alla testa la piccola Emma uccidendola e taglia di netto il braccio sinistro della nonna Ersilia. L’aereo, pilotato quel giorno dal comandante Armando Ulivi, riuscirà ad ammarare «in località Cigale con gli altri due motori e senza altri incidenti».
Dalle pagine del libro riaffiora un’epoca in cui nei cieli di Trieste si intrecciavano i percorsi pionieristici della grande aviazione commerciale, e ogni tanto spuntavano macchine volanti straordinarie come il Dornier Do X, gigantesco idrovolante per voli transatlantici, autentica nave dei cieli da cento posti arredata come un veliero e tenuta in aria da dodici motori.
Nel secondo dopoguerra ci sarebbe stato un altro tentativo di far rinascere quell’epopea, con la fondazione della Tac, Trieste Airways Company, appoggiata dal Governo Militare Alleato. Ma ormai i tempi erano cambiati, e dell’avventura triestina nei cieli oggi rimangono il grande edificio dell’idroscalo (attuale sede della Guardia costiera) e la piccola e antica pista dell’aerocampo di Prosecco, gestito dal Gruppo amici del volo con attività di volo sportivo e compiti di Protezione civile.

 

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