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Il Piccolo – 051207 – Schengen: Gorizia e i graniciari

GORIZIA Gli anni passano, i confini cadono, ma i ricordi rimangono. Dal prossimo 21 dicembre, quando fra Italia e Slovenia saranno tolte definitivamente le sbarre ai confini, cambieranno alcune piccole abitudini, come la necessità di esibire la carta d’identità ai valichi di frontiera.
E come cambierà la vita dei goriziani che per 60 anni hanno vissuto accanto alla recinzione confinaria? Se la vita quotidiana scorrerà uguale come quella dei giorni precedenti, ugualmente non sarà come prima.
È vero che di acqua ne è passata da quando i «graniciari» sorvegliavano con fermezza la linea di frontiera, il confine da tempo non è più quello di 60 anni fa quando una vera cortina di ferro era stata innalzata tra Gorizia e Nova Gorica. Quando gli americani, con in mano un barattolo di calce e un pennello, avevano disegnato il confine tracciando una linea che non teneva conto di case e proprietà. E così nella zona della Casa rossa alcuni contadini si erano trovati con la casa in Italia e il cortile in Jugoslavia. Oppure come il cimitero di Merna che è stato diviso a metà, con il reticolato che passava tra le tombe. Sfregi a un confine che solo gli accordi di Osimo, a metà degli anni Settanta, hanno parzialmente riparato.
Sono, quindi, lontani gli anni in cui essere residenti accanto al confine significava guardare in faccia la «guerra fredda» o molto più semplicemente e pericolosamente, la guerra con la «g» minuscola. È il caso di Viviana Ceccato, la cui abitazione di via Vittorio Veneto si trova a pochi metri dal vicino valico di San Pietro. E nel ricordare gli ultimi vent’anni vissuti a contatto con i vicini sloveni, non può che riandare ai giorni più difficili, allo scoppio delle ostilità tra Slovenia e Jugoslavia nel giugno del 1991 quando Lubiana aveva dichiarato l'Indipendenza e sul confine era arrivato l’esercito serbo con i suoi tank. «Ore di incertezza – racconta – quando la situazione era precipitata. Chi abitava nei paraggi portava da bere e da mangiare alle truppe che presidiavano il confine. Ad un certo punto erano arrivati anche i soldati italiani».
Nei ricordi di questi anni non c’è solo la guerra. «Purtroppo troppo spesso abbiamo notato l’arrivo di clandestini, fenomeno oggi terminato ma che è esistito per anni – spiega la Ceccato -: abbiamo visto moltissimi disperati oltrepassare i confini, a tutte le ore del giorno, soprattutto di notte. Saltare la rete e dileguarsi nel buio della notte».
Ed è proprio nella zona di San Pietro, nella primavera del 1983, si è verificato uno degli episodi più sanguinosi accaduti al confine. I graniciari avevano aperto il fuoco su un numeroso gruppo di cingalesi che cercava di entrare clandestinamente in Italia. I gendarmi jugoslavi non avevano esito ad aprire il fuoco ed avevano ferito alcuni asiatici, che erano stati poi curati in Italia.
Storie di gente disperata, alla ricerca di fortuna e migliore sorte, si sono ripetute con maggiore frequenza a cavallo del Duemila, ma senza spargimento di sangue. Venivano dalla Turchia, dall’Iran , dall’Albania, dall’Africa seguendo la rotta balcanica.
«In generale, però, vivere vicino alla Slovenia non è stato in questi anni molto diverso dall’abitare in qualsiasi altra zona della città – confessa Viviana Ceccato -: la situazione, a parte gli episodi del ’91, è sempre stata molto tranquilla».

Matteo Femia

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