Il governo sloveno abolisce la “Giornata Nazionale in Ricordo della violenza comunista”

Le conseguenze sui rapporti Roma-Lubiana, intervista a Marino Micich, Direttore dell’Archivio-museo storico di Fiume

Una notizia quasi ignorata dalla stampa. Cioè l’abolizione, in Slovenia (decisa il 17 maggio) della “Giornata Nazionale in Ricordo della violenza comunista”, che era stata istituita dal Governo appena un anno fa, sull’esempio di altri Paesi ex-comunisti: come anzitutto l’Ungheria, che celebra ogni anno una Giornata nazionale, il 25 febbraio, in ricordo delle vittime del comunismo mondiale (dal 2000), e un’altra (istituita più recentemente) il 29 giugno, di condanna d’ ogni forma di persecuzione e discriminazione verso i proprietari terrieri durante l’era comunista. Nel 2008-2009, il Parlamento di Strasburgo aveva recepito l‘indignazione civile della maggior parte dell’opinione europea nei confronti di ogni dittatura istituendo una Giornata di commemorazione delle vittime di tutti i regimi totalitari e autoritari, fissata al 23 agosto (ricorrenza della firma, nel 1939, dello sciagurato patto Molotov-Ribbentrop). Mentre, nel 2019, ha approvato una risoluzione che condanna fermamente ogni forma di dittatura, ponendo sullo stesso piano comunismo e nazismo.
. Ma tornando alla Slovenia, il governo del liberale Robert Golob. leader del Movimento Libertà (ex verdi), e comprendente anche socialdemocratici (SD) e la sinistra del movimento LEVICA (con appoggio esterno dei deputati delle minoranze nazionali italiana e ungherese), esattamente ha revocato il decreto che introduceva la commemorazione delle vittime del comunismo, proprio poche ore prima della Giornata nazionale del 17 maggio, Citando come giustificazione (un anno dopo!) l’assenza a suo tempo, prima dell’introduzione del Giorno del Ricordo, di un “dibattito pubblico” fra “esperti”. Leggiamo poi, su una breve dell’ANSA, che l’ex presidente sloveno Borut Pahor ha espresso il suo disappunto per la decisione del governo in carica: scrivendo, su Facebook, di considerare la decisione dell’esecutivo “inappropriata” e “inaccettabile”.

Figlio di esuli dalmati, studioso di storia dell’Adriatico orientale, con particolare riferimento al Novecento, Marino Micich, Direttore, a Roma, dell’Archivio-museo storico di Fiume, è Segretario generale della Società di studi fiumani, ente riconosciuto dalla legge 92 del 2004 sull’istituzione del “Giorno del Ricordo” dell’Esodo istriano, giuliano e dalmata e dello sterminio delle Foibe. Con Giovanni Stelli, Presidente della Società di studi fiumani, lo storico di area cattolica Pier Luigi Guiducci e il giovane Emiliano Loria, curatore della sezione archivistica dell’archivio-museo storico di Fiume, Micich ha pubblicato recentemente il saggio “Foibe, Esodo, memoria. Il lungo dramma dell’italianità nelle terre dell’Adriatico orientale” (Roma, Aracne Editrice). Con lui parliamo di questa controversa decisione del governo sloveno e delle sue possibili conseguenze su tutto l’arco dei rapporti tra Roma e Lubiana.

La nuova Presidente della Repubblica di Slovenia, Nataša Pirc Musar, è stata ricevuta il 19 maggio al Quirinale dal presidente italiano Sergio Mattarella, in spirito di collaborazione europeo. Durante l’incontro tra i due presidenti, sono state proposte nuove importanti iniziative, e si è parlato anche del “processo di riconciliazione” in corso tra i due Paesi. Ritiene che questo processo, ora, possa essere quantomeno rallentato, dalle ultime decisioni, e proposte all’Italia, del Governo sloveno?

Questo processo di riconciliazione aveva raggiunto momenti solenni a Basovizza ( frazione del comune di Trieste, a nord-est del capoluogo, sull’altopiano del Carso, unica foiba esistente in territorio italiano) il 13 luglio 2020, con l’incontro e il gesto “della mano nella mano” tra il presidente Mattarella e l’allora presidente sloveno Borut Pahor, presso i due memoriali presenti in zona. Al di là di essere pienamente concorde con l’iniziativa di sviluppare sempre più i rapporti di collaborazione economica e culturale con la Slovenia, e conferire maggiori tutele e riconoscimenti alle reciproche minoranze, lascia però quantomeno perplessi il recente annullamento, da parte di Lubiana, della “Giornata nazionale in ricordo della violenza comunista”. Abolizione che, stando alle dichiarazioni dell’ex presidente sloveno Pahor e di alcune importanti associazioni slovene contrarie al provvedimento, ha sicuramente aggravato, poi, i rapporti politici interni della stessa Slovenia.

Ma dopo la presidenza di Pahor, quale posto hanno oggi, in Slovenia, le vittime delle foibe e, in generale, del regime di Tito?

Sicuramente il mondo associativo degli esuli giuliano-dalmati ha accolto la notizia dell’abolizione della “Giornata in ricordo della violenza comunista” con grande sconcerto e non poche perplessità. Così come alcuni politici italiani, tra cui, ad esempio, il Vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri e l’assessore regionale alle Autonomie locali del Friuli Venezia Giulia, Pierpaolo Roberti: il quale ha definito la decisione del governo di Lubiana “un brutto segnale che riporta indietro le lancette della storia, dando un colpo di spugna morale a chi dei crimini dei comunisti titini, tanto italiani, quanto sloveni e croati, ha patito le atrocità”. Il nuovo corso governativo sloveno in tema di riconciliazione sembra non tenere più in alcun conto nemmeno il principio, stabilito il 19 settembre 2019, dalla Risoluzione del Parlamento europeo su “L’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”.

Ecco, parliamo di questa Risoluzione di Strasburgo del 2019, cui la stampa italiana, all’epoca, se non erro ha appena accennato…

Uno dei punti fondamentali della suddetta Risoluzione è proprio il riconoscimento delle vittime di quei Paesi dell’Europa orientale rimasti assoggettati, dopo la Seconda guerra mondiale, all’egemonia dell’Unione Sovietica: che, com’è noto, dal ‘47 al ‘50 circa vi instaurò (nella logica di Yalta 1945, che assegnava, in sostanza, tutto l’Est europeo alla predominante influenza sovietica) una serie di regimi comunisti. La Jugoslavia, all’epoca guidata dal dittatore comunista Josip Broz detto Tito, è uno di quei Paesi dove, alle ingiustizie commesse dai regimi nazisti e fascisti, sono seguite, a guerra finita, altre forme di ingiustizia organizzata. Nel Paese balcanico ebbe luogo, dopo la sconfitta sul campo delle forze nazi-fasciste da parte dell’Armata popolare partigiana, una vera e propria rivoluzione comunista, con la regìa della polizia segreta Ozna (“Sezione per la Difesa del Popolo”).

E’ possibile, oggi, fare un bilancio il più possibile esatto e corretto delle vittime del comunismo jugoslavo?

Tale processo rivoluzionario ha causato decine di migliaia di vittime, tramite esecuzioni sommarie nelle foibe, nelle cave di bauxite, nelle miniere, nei vari campi di concentramento, e addirittura in mare. Tra queste vittime liquidate, tra il 1943 e il 1947, sommariamente e senza regolari processi, almeno 8.000-10.000 erano italiani, ma oltre 100.000 erano sloveni e croati.

E’ inevitabile, direi, il paragone con quanto sarebbe avvenuto, circa trent’anni dopo, nella Cambogia di Pol Pot: l’ “autogenocidio”…

Ci sono, in effetti, varie analogie. L’opera di liquidazione sommaria veniva portata a termine da reparti speciali dell’esercito popolare jugoslavo denominati KNOJ (Corpo di Difesa Popolare Jugoslavo). Si trattava di una sistematica epurazione di massa, sancita da uno Stato totalitario. In seguito, dopo la lunga fine dell’ex Jugoslavia avvenuta tra il 1992 e il 1999, è stato possibile promuovere studi e ricerche dove è stato appurato che la maggior parte degli uccisi non avevano commesso crimini di guerra, né si erano distinti in particolar modo nei sistemi politici fascisti o filofascisti. Del resto, i cosiddetti tribunali popolari, che comunque non garantivano particolari tutele agli accusati, iniziarono a funzionare, almeno in Istria o a Fiume, solo a gennaio 1946, quindi a guerra da tempo conclusa.

La proposta di “riconciliazione” fatta ora dalla Presidente slovena al Presidente Mattarella “passa” per l’ex campo di concentramento italiano di Kampor (isola dalmata di Arbe/Rab, in Croazia): nel senso di una possibile visita congiunta italo-slovena a questo triste luogo, in segno di riconciliazione tra i due Paesi. Può esser considerata sufficiente?

E’ una proposta, a mio avviso parziale, che deve essere adeguatamente bilanciata per rispetto della verità storica. Si tratta, dice la Slovenia, di organizzare una visita, durante il periodo di Gorizia-Nova Gorica capitale europea della Cultura 2025, al memoriale presente a Kampor, località dell’isola dalmata di Arbe (Rab, in Croazia), dove si trovava il campo di concentramento italiano funzionante dal 1942 al 1943. In tale campo, organizzato e diretto dalle autorità militari italiane di occupazione, perirono per malattie, maltrattamenti e stenti, circa 1.200 tra sloveni e croati provenienti dalle zone di guerra. Le cause della morte di così tanti civili sono naturalmente ingiustificabili e vanno più che degnamente ricordate. Tuttavia, tale proposta, senza prevedere un corrispettivo, potrebbe ben difficilmente essere accolta da parte italiana; difatti il presidente Mattarella, si legge in alcuni giornali, sembra aver ritenuto la proposta slovena al momento prematura, e da ponderare in ogni caso con attenzione.

Cosa dovrebbero fare, a Suo avviso, Presidente e Governo italiani?

Credo che il nostro Capo dello Stato, considerata anche l’amicizia con l’ex Presidente sloveno Pahor, sia ben conscio e informato delle differenti posizioni assunte recentemente, dai nuovi vertici sloveni, sulla storia del confine orientale nel Secondo conflitto mondiale; e soprattutto, della posizione assunta oggi da Lubiana nei confronti del totalitarismo comunista jugoslavo. Il governo sloveno di Golob, abolendo la “Giornata in ricordo della violenza comunista” è sicuramente tornato indietro a ben prima del 1989, quando avvenne il crollo del Muro di Berlino e, di conseguenza, la riunione delle due Germanie e la fine dei regimi comunisti in Europa orientale…

In ultimo, guardando a un possibile futuro migliore per l’Europa, dove guerre e genocidi finiscano definitivamente nella “pattumiera della storia” (espressione, tra l’altro, che è di Lev Trockij!), come vanno commemorati, oggi, gli eccessi di tutti i totalitarismi?

I regimi totalitari del passato sembrano, alla rilettura dei fatti storici, assomigliarsi tutti, certo. Pero’, senza equipararli proprio in tutto (cosa che non sarebbe corretta), ma cercando di ripristinare un saggio equilibrio nel valutare il passato “ultra conflittuale” del continente europeo, è possibile oggi creare le condizioni affinché, anche sul versante italo-sloveno-croato, si organizzino atti di commemorazione eticamente riparatori. Pertanto, se un giorno si organizzerà una visita dei 3 presidenti – italiano, sloveno e croato – al memoriale del campo di Kampor nell’isola di Arbe, allora, dovrebbero farle seguito analoghe visite alla foiba di Vines e al famigerato lager jugoslavo di Borovnica in Slovenia: poiché ambedue i luoghi simboleggiano a dovere le vittime sia delle foibe che degli oltre sessanta lager di Tito, disseminati in tutta la Jugoslavia di allora. Solo a queste condizioni è possibile onorare, in nome dei princìpi di umanità e di pietà cristiana, tutte le vittime dell’odio ideologico senza interessate censure; e quindi rafforzare il clima positivo di riconciliazione messo in atto alla Foiba di Basovizza, il 13 luglio 2020, dai due presidenti Mattarella e Pahor. Non bisogna dimenticare che simili commemorazioni trasmettono forti segnali soprattutto alle giovani generazioni, perché possano rendersi conto dei limiti e dei gravi errori compiuti, in passato, dai vari Stati europei.

Intervista di Fabrizio Federici a Marino Micich
Fonte: Avanti! – 14/06/2023

La Presidente della Repubblica di Slovenia Nataša Pirc Musar

 

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