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Il DDL sul negazionismo: da reato ad aggravante – 31ott13

Ha avuto un iter parlamentare faticoso, con polemiche procedurali e d’opinione, l’approvazione di alcune modifiche di legge che dovevano introdurre nell’ordinamento italiano il reato di negazionismo, ovvero la punibilità dell’istigazione e dell’apologia relativa a «delitti di terrorismo, crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra». Per chi avesse negato la Shoah o gli eccidi delle Foibe nuove le norme avrebbero previsto, se approvate, oltre 7 anni di carcere.

Iniziamo dall’iter parlamentare. Il reato di negazionismo era stato essere introdotto con emendamento nell’articolo 414 del codice penale (ultimo comma), che già prevede il reato di apologia, punibile con la reclusione da uno a cinque anni. L’emendamento di nuova formulazione – presentato dalla senatrice PD Silvana Amati con il collega PDL Lucio Malan – dal titolo «Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6,7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale» era firmato dai capigruppo PD, PDL, SC, SEL e M5S, e portava la firma di quasi 100 senatori di tutti i gruppi parlamentari ad eccezione della Lega Nord.

Nel nuovo dispositivo si leggeva che «se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo, crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra, la pena è aumentata della metà. La stessa pena si applica a chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità» anche mediante «l’impiego diretto di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili». Il disegno di legge era stato approvato all’unanimità in Commissione Giustizia del Senato, con un accordo trasversale dei gruppi PDL, PD, SC, M5S e SEL. Hanno votato contro Carlo Giovanardi (del quale riferiamo più avanti la dichiarazione) e Enrico Buemi (PSI), quest’ultimo per motivi procedurali. Il testo dovrà quindi pervenire all’esame dell’Aula.

Il presidente del Senato Pietro Grasso aveva avanzato la richiesta di approvare il ddl in sede di Commissione Giustizia deliberante, facendolo diventare operativo senza il passaggio in Aula. Ma il Movimento 5 Stelle si è opposto salvo pronunciarsi poco più tardi a favore quando il provvedimento era già tornato all’ufficio di Presidenza che dovrà mettere in calendario l’esame del disegno di legge.

Il ddl, così come approvato in Commissione, non faceva riferimento a eventi storici precisi, pertanto doveva intendersi applicabile a tutti i fenomeni di persecuzione etnica, ideologica, politica e quant’altro, dunque anche alle Foibe, come rilevava “Il Piccolo” di Trieste del 17 ottobre scorso.

Le dichiarazioni del Capo dello Stato e del mondo politico

«Sono convinto che sarà presto completato l’iter parlamentare» aveva dichiarato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Secondo il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, la norma avrebbe rappresentato «un importante strumento innovativo per tentare di arginare alcuni fenomeni di antisemitismo e di negazione di gravi fatti storici». Per Renato Schifani, presidente dei senatori PDL, l’approvazione del testo di legge in Commissione Giustizia era «un risultato di grande valore per il nostro Paese. Tanto più importante perché arriva alla vigilia di una giornata di enorme significato per le vittime della ferocia nazista» [il 16 ottobre si commemora a Roma il rastrellamento del Ghetto ad opera dei nazisti, del quale quest’anno ricorre il 70.mo, ndr ].

«È chiaro che il contrasto di queste forme di alienazione deve essere in primo luogo culturale, di formazione delle giovani generazioni e dell’opinione pubblica, di sviluppo di una sensibilità civile tollerante e aperta all’altro e al diverso, basata su una conoscenza quanto più possibile ampia e critica dei fatti storici– dichiarava la senatrice Amati –. Ma di fronte a fatti specifici, e spesso reiterati, di denigrazione a sfondo razziale e di negazione tendenziosa della verità storica non può non esserci anche una reazione sul piano giuridico e penale del sistema democratico».

Giovanardi: «il testo sul negazionismo annacqua la Shoah»

In una dichiarazione all’Ansa del 16 ottobre scorso il sen. Carlo Giovanardi aveva chiarito: «Ho votato contro al testo sul negazionismo che annacqua e minimizza l’Olocausto fra altri migliaia di eventi e attenta alla libertà di ricerca e di interpretazioni storiche dei fatti in nome di una Verità storica, con la V maiuscola, che non si capisce quale organo possa certificare come un dogma indiscutibile, da difendere con il carcere per chi sostiene opinioni diverse». Orientamento confermato in un suo articolo pubblicato su “Libero” il 23 ottobre 2013 (Il reato di negazionismo? Colpirà gli ebrei).

 

I primi commenti negativi degli “addetti ai lavori”

La notizia dell’inasprimento delle pene per la materia in oggetto ha suscitato un dibattito sulla stampa e i media, animato da interventi di storici e giornalisti. Ha scritto a chiare lettere lo storico Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera del 20 ottobre (La verità storica stabilita per legge errore di una cultura poco liberale «Colpisce e preoccupa l’assenza di opinioni critiche riguardo al disegno di legge […]. Ma con pochissime eccezioni nessuno sembra attraversato da dubbi circa il suo carattere illiberale, che pure dovrebbe essere evidente dato che la nuova norma sanzionerebbe pur sempre delle opinioni».

La storica debolezza della cultura liberale nel nostro Paese – osservava Belardelli – «è testimoniata appunto dal fatto che tendiamo a ignorare come la libertà di opinione si misuri in primo luogo in relazione alle opinioni che non condividiamo e che troviamo anzi aberranti. Una legge del genere si inserisce in una tendenza, comune ormai a vari Paesi, a definire in via ufficiale cosa sia lecito e cosa sia proibito sostenere rispetto al passato, stabilendo di fatto delle verità storiche di Stato». E proseguiva: «Per di più, […] la nuova fattispecie di reato riguarda non solo la negazione di crimini di genocidio e contro l’umanità, ma anche la loro “minimizzazione”: un concetto, evidentemente, non solo vago ma che implica l’esistenza di una versione ufficiale (stabilita da chi?) alla quale occorra attenersi».

Pochi giorni prima, il 16 ottobre, Fiamma Nirenstein su “Il Giornale” (Il negazionismo non si combatte con il carcere) si pronunciava contro il principio di vietare per legge il negazionismo: «il negazionismo non può essere combattuto in tribunale: delle leggi ad hoc non esistono in vari Paesi peraltro molto interessati al tema, per esempio in Israele […]». «Non possiamo – argomenta Nirenstein – mettere in galera tutti i negazionisti […]».

Da registrare anche l’intervento della SISSCO, la Società Italiana per lo Studio della Storia contemporanea, che ha affidato ad una nota la sua forte perplessità: «Nutriamo forti perplessità verso iniziative legislative che, nell’intento di contrastare tali fenomeni, finiscano per limitare la libertà di opinione, senza la quale tra l’altro sono impossibili ricerca scientifica o dibattito storiografico. I “reati”, finché si tratta di opinioni, non sono infatti tali». Aggiungeva il presidente della SISSCO, Agostino Giovagnoli: «Sulla definizione di genocidio e su quali siano stati i genocidi nella storia, tranne qualche caso, non vi è accordo tra storici o tra giuristi. Ancor meno c’è accordo su quali vadano considerati i crimini di guerra e contro l’umanità. Spetterebbe al giudice pronunciarsi su una materia squisitamente storica».

Dello stesso orientamento due storici prestati alla politica, quali Miguel Gotor (PD) e Andrea Romano. Il primo aveva annunciato: «Non voterò mai a favore di una legge del genere. Da storico, sono contrarissimo. Da politico, penso che sia un clamoroso errore regalare una larga platea a queste persone». Gli ha fatto eco Romano (Scelta Civica): «Io farò le barricate. Sono uno studioso dell’Urss; per noi è pane quotidiano il dibattito se il lager nazista sia confrontabile o meno con il gulag sovietico, per me è inammissibile che tutto ciò possa finire sotto il vaglio di un giudice penale. Pur nutrendo il massimo disprezzo possibile per chi difende teorie negazioniste, lasciamo libero il dibattito».

Parlato nel 2011

Già nel 2011, lo storico Giuseppe Parlato era intervenuto su “Libero” del 26 gennaio, allorquando iI ministro della Giu¬stizia Angelino Alfano dichiarò che il governo avrebbe lavorato «a una norma che af¬fermi il reato di negazionismo». Così commentava Parlato: «Periodicamente ritorna la tentazione di fissare la storia per legge. Era successo nel gennaio 2007 […], era successo lo scorso anno [2010, ndr] quando, qualcuno propose di perseguire per legge coloro che negavano le foibe e l’esodo […] A tale proposito è bene ri¬cordare tre punti essenziali. Primo. Che nessuna opi¬nione, per quanto aberran¬te, in uno Stato liberale si può condannare per legge, prima che abbia determina¬to reati. Se così accadesse, la liceità di un’opinione sareb¬be legata alle maggioranze politiche e lo Stato di diritto sarebbe di fatto esautorato.

Secondo. Che la ricerca storica, proprio perché espressione della creatività umana e del rigore scientifi¬co, deve essere libera. Una ricerca obbligata a muoversi su “verità di Stato” non per¬mette di comprendere la storia.

Terzo. Che i veri negazio¬nisti non hanno bisogno di pubblicità né di diventare i moderni martiri della libertà di pensiero. Il negazionismo è l’esatto contrario della li¬bertà di ricerca, in quanto parte da un assunto dogma¬tico. La loro marginalità è la migliore risposta alle loro te¬si. E se non bastasse, ci do¬vrebbero pensare gli storici liberi e seri ad opporre altre tesi alle loro», concludeva Parlato.

Il ripensamento. Il negazionismo come «aggravante» e non come reato a sé

Quello che la stampa ha definito un «fuoco di sbarramento» da parte degli storici italiani non è rimasto senza effetti sul Parlamento, anzi ne ha radicalmente mutato l’orientamento e di conseguenza le decisioni, tant’è che al Senato giungerà un emendamento «interamente sostitutivo dell’unico articolo di cui è costituito il ddl e ciò per l’esigenza di meglio inserire nel tessuto del codice penale questa rilevante novità, guardando comunque alla salvaguardia della libertà di ricerca storica», come ha spiegato la relatrice, Rosaria Capacchione.

Dunque, al 26 di ottobre il vecchio ddl è stato dichiarato ufficialmente defunto. Il negazionismo, secondo la nuova formulazione giuridica, non sarà un reato autonomo, ma una sottospecie della «istigazione a delinquere» in forma di comma all’articolo 414 del codice penale, intesa come un’aggravante che determinerà «l’aumento della pena della metà per chi compie istigazione o apologia dei crimini di genocidio o contro l’umanità».

Patrizia C. Hansen
Sede nazionale ANVGD

 

 

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