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I Tripcovich, una storia adriatica (Il Piccolo 17 gen)

di PIETRO SPIRITO

La lunga storia della famiglia Tripcovich inizia con traffici e battaglie nel mare Adriatico e termina con un naufragio. Dietro di sé i Tripcovich hanno lasciato una traccia che dal ramo trapiantato a Trieste porta a ritroso nel tempo fino al basso medioevo ed evoca figure di capitani e armatori di bastimenti a vela, scontri navali e pirati, possedimenti e commerci.

La prima impronta anticipa l’anno Mille, e si materializza nel titolo di conte elargito ai Tripkovic – secondo l’antica etimologia croata – dall’imperatore di Bisanzio. Il capostipite si chiamava Trifone, e contava numerosi possedimenti terrieri e immobiliari nella zona delle Bocche di Cattaro. Allora tutto l’Adriatico è un ribollire di cultura e ricchezza. Da una costa all’altra il mare è dominato dalla Serenissima, e dalla Repubblica di Ragusa che nei secoli XV e XVI raggiunge il massimo splendore con 500 navi, rappresentanze diplomatiche in tutta Europa, fondaci nei territori turchi, una schiera di dotti bizantini fuggiti dalla Grecia, umanisti locali.

I Tripkovic sono in navigazione già da tempo. Commerciano, ma hanno anche bastimenti armati che vediamo combattere sotto le insegne di Venezia nella battaglia di Lepanto del 1571, e ritroviamo più avanti nell’assedio di Candia del 1645-49. Nel museo marittimo navale di Cattaro ci sono numerose testimonianze della storia della famiglia, ritratta anche dal Carpaccio alla Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia. E negli archivi di Dobrota c’è un documento databile tra il 1806 e il 1807, redatto dal Console francese a Trieste, che ipotizza un coinvolgimento dei Tripkovic nell’armamento di navi pirate per depredare navi francesi a Trieste e nel Quarnero.

La famiglia rappresenta una vera genìa adriatica: tra il XVIII e il XIX secolo la stirpe dei Tripkovic genera 86 marittimi di cui 63 capitani, 5 ufficiali e 18 marinai. Durante il XVIII secolo la famiglia possiede complessivamente una fregata, sei grandi tartane e 12 altre navi. Allora i Tripkovic abitavano un palazzo barocco a Dobrota, oggi monumento nazionale e meta di visite guidate, costruito con pietra delle cave di Curzola. Nel 1813 è ancora considerato il più bel palazzo delle Bocche, e valutato 7.000 fiorini.

Nella storia dell’Adriatico il nome dei Tripkovic spunta spesso. C’è un Andrej che, alla faccia degli accordi pirateschi, presta al generale francese Marmont, luogotenente di Napoleone, 3.000 ducati d’oro per le esigenze belliche. C’è un altro Tripkovic, Luka Nikov della stirpe di Stefano (1820-1900) capitano marittimo, gran patriota croato che si dà parecchio da fare con i nobili Ragusei per riunire tutta la Dalmazia, isole comprese, sotto la bandiera croata. I documenti spiegano che tenne riunioni segrete nella sua casa e si salvò dall’impiccagione austriaca solo grazie a un’amnistia del governatore dell’epoca Gabriel Rodic.

Ma nel groviglio di questo labirinto araldico qui interessa la via che porta a Trieste, e che parte dall’avo Trifone. Vissuto verso la metà del 1600, Trifone ha tre figli maschi: Pietro, Vincenzo e Stefano, il quale a sua volta avrà due figli, Ivo ed Elia. A Elia succederanno Antonio (sarà vescovo), Stefano e Matteo. Quest’ultimo darà i natali a Diodato, Stefano, Paolo, Gregorio e Marco. Da Marco nasceranno Diodato, Vito e Matteo e Diodato sarà padre di Antonio e Giuseppe. Antonio infine dà la vita a Diodato, Paolo, Stefano, Maria, Nina e Anna.

E se di quest’ultima generazione è Antonio il primo Tripkovic a mettere piede a Trieste, sarà il figlio Diodato a lasciare in città il segno più profondo. Diodato Michele Girolamo Tripkovic (Bogdan per gli amici dalmati) nasce il 29 settembre 1862 a Dobrota. Sua madre è Angelica Dabinovic, convolata a nozze con Antonio Bogdanov Tripkovic a Trieste, nella Chiesa di Sant’ Antonio Nuovo, nel dicembre del 1856.

Antonio è sbarcato a Trieste calamitato dall’inarrestabile incremento della navigazione mercantile a vapore, sviluppo nel quale, fra tutti i porti austro-ungarici, Trieste, per posizione ed attrezzature esistenti è il magior polo di attrazione. La famiglia abita in via Felice Venezian, anche se Antonio mantiene la vecchia residenza di Cattaro. Diodato impara presto le regole fondamentali dei Tripkovic: studiare le lingue e rispettare i naviganti che portano dal resto del mondo notizie e merce pregiata; curare le amicizie anche quelle apparentemente meno importanti, conservarle e possibilmente ampliarle; fare i propri affari ma serbare riconoscenza verso coloro che ti hanno aiutato ripagandoli con la stessa moneta.

Il 23 settembre 1882 dopo aver fatto le scuole nautiche, all’età di 20 anni, Diodato Tripcovich ottiene dall’Imperial regio governo marittimo il decreto di abilitazione a tenente nella Marina mercantile, che significa “poter comandare navigli al più esteso limite di grande cabotaggio”. Avvia subito la sua attività marinara sul “Boritelj” nave di proprietà dello zio Luka e di suo figlio Petar Tripkovic. La famiglia è molto unita e Diodato conserva un carisma che i fratelli Paolo e Stefano e le sorelle Maria, Nina e Anna gli riconoscono senza distinzioni. Nel 1886 viene assunto dal Lloyd Austro-Ungarico e inizia la sua carriera navale ad alto livello. A bordo delle navi incontra commercianti e imprenditori che viaggiano in tutto il Mediterraneo e, ligio alle regole di famiglia, consolida conoscenze che nel tempo gli sarebbero tornate utili.

Nel settembre 1892 Diodato viene pensionato per malattia dal Lloyd, ma in realtà si congeda per lavorare in libertà con l’amico Matteo Pollich, che gestisce una ditta di brokeraggio navale e un consorzio di caratisti in Fiume. Con la dote della moglie Ermenegilda, della potente casata ragusea dei Pozza di Zagorje, sposata nel duomo di Ragusa il 3 gennaio del 1891, Diodato compra diversi carati di navi appartenenti a consorzi di Ragusa e Lussimpiccolo, e sia avvia a diventare l’armatore che sarà, mentre il fratello più giovane, Stefano muore durante un naufragio nei pressi di Aiaccio.

Nell’agosto del 1895, alla scadenza del suo contratto con Pollich, Diodato fonda la sua prima vera società, la “D. Tripcovich – Società di Armamento ed Agenzia Marittima”. Adesso il cognome è cambiato, e sarà questo che avranno i figli di Diodato: Mario (1893), Maria (1897) e Oliviero (1901). A Trieste l’epoca dei grandi armatori e naviganti sta per raggiungere il suo apice: tra il 1890 e il 1908 si diplomano all’Istituto Nautico di Trieste ben 27 Cosulich, sei Tripcovich, 15 Martinolich, sette Premuda e sei Cattarinich.

Il 21 marzo 1903 l’altro fratello di Diodato, Paolo assieme ad un gruppo di 16 appassionati velisti riunti all’Hotel de La Ville fonda lo “Yacht Club Adriaco” la più antica e gloriosa Società velica dell’Adriatico.

Alla fine del 1912 Diodato invece fonda la ”D. Tripcovich Società Anonima di Navigazioni e Salvataggi” per svolgere anche l’attività di rimorchio e salvataggio marittimo, molto remunerativo in un’epoca di frequenti naufragi. Alla fondazione della Società partecipano ben 173 azionisti le cui figure più note sono commercianti e professionisti triestini quali Filippo e Rodolfo Brunner, Augusto Cavallar, Riccardo Albori, Carlo Arch, Arrigo Artelli e altri. Alla vigilia del primo conflitto mondiale la flotta della Tripcovich, dopo il Lloyd Austriaco e l’Austro–Americana è la più consistente dell’Impero. Quando scoppia la guerra Diodato trasferisce a Graz la sua ditta, la cassa e tutti gli impiegati agli ordini del fratello Paolo accompagnato dalla moglie. Con loro partono anche i suoi figli Mario, Oliviero e Maria (futura sposa di Goffredo de Banfield) per preservarli dai pericoli e dai disagi della guerra. Lui, Diodato, rimane a Trieste, vicino alle sue navi.

La ripresa nel dopoguerra non è facile, ma per Diodato il 1921 inizia all’ombra dei fiori d’arancio con il matrimonio, a Londra, della figlia Maria con Goffredo de Banfield. Diodato approfitta della circostanza per stipulare un contratto di partnership con due suoi ex conoscenti dalmati: Elia Radonicich operante quale agente marittimo e mediatore a Glasgow e Natale Banaz, attivo a Londra. A Trieste la famiglia si stabilisce in Piazza della Stazione 4, attuale piazza della Libertà, in un appartamento molto grande ottenuto in affitto dai Parisi, anche se durante l’estate si trasferiscono tutti nella splendida villa di Gretta, acquistata nel 1902 dai coniugi Springer. Qui Diodato muore il 25 settembre 1925, a 63 anni. Il timone passa ai figli Mario e Oliviero, e all’ex Aquila di Trieste, il barone de Banfield. Nonostante il lutto profondo, per la famiglia inizia un periodo proficuo. Mario entra nel giro politico giusto, frequenta uomini-chiave del governo fascista, artisti e scrittori (tra i quali Svevo e Joyce), fino ad assere ricevuto da Mussolini in persona a Palazzo Venezia. Nel 1929 Oliviero Tripcovich, il più gaudente dei fratelli, sposa nella Cattedrale di S.Patrick a New York la sua ultima fiamma, l’americana Elisabeth (Betty) Brockway Crispin, rampolla di una facoltosa famiglia inglese insediatasi sin dal 1681 in Pennsylvania.

A ridosso della seconda guerra mondiale le foto di famiglia ritraggono Maria e Goffredo de Banfield con i figli Raffaello e Maria Luisa-Pinky, Oliviero senza la moglie Betty (che nel ’39, ai primi venti di guerra, è saltata sull’ultima nave in viaggio per gli Usa), Mario che ha sposato Silivia Mordo e la cui figlia Maria sposerà sotto i bombardamenti, nel 1941, il conte Orsino Orsi Mangelli.

Alla fine del conflitto la flotta Tripcovich è decimata: delle quindici navi mercantili se ne sono salvate solo tre, di quelle adibite al salvataggio e al rimorchio due su nove. Imprecisato il numero dei morti in servizio. Le attività riprendono attorno alle concessioni del servizio rimorchi, ma nel 1958 muore Oliviero, e nel 1963 scompare anche Mario. Con loro si estinguono i maschi della famiglia Tripcovich. Dei figli di Diodato rimane soltanto la figlia Maria sposata a Goffredo de Banfield e i loro due figli Raffaello e Pinky, sposata con Guido Mosterts, proprietario del Lanificio di Somma (avranno tre figli, vedi la puntata sulla famiglia Banfield del 20 dicembre 2009). Da parte di Mario Tripcovich invece resta la figlia Maria, sposata con Orsino Orsi Mangelli.

La storia della società si avvia alla fine: le tre figlie di Orsino e Maria, Marina, Bona e Barbara (nessuna delle quali vive più a Trieste) alla morte del padre si dividono il pacchetto di maggioranza della Tripcovich. Barbara, ancora nel consiglio della società per un breve periodo, esce dalla stessa nel 1983. Anche Bona vende le azioni e dopo alcuni anni si allontana dalla società. L’unica a rimanere al timone con il cugino Raffaello è Marina Orsi Mangelli, rappresentata in consiglio dal suo amministratore di fiducia Ettore Chiesa.

Ma ci avviciniamo all’ultimo paragrafo, quello che vedrà il fallimento della Tripcovich, nel 1994. Dopo una lunga serie di ”cosmesi dei bilanci attraverso girandole acrobatiche di compravendite interne”, come scrisse Paolo Rumiz in una memorabile inchiesta sul crac della società, e dopo 99 anni di gloriosa marineria, ”il bastimento Tripcovich affonda, ed è la prima volta in Italia che fallisce una società quotata”. Trieste assiste immobile al naufragio, e la nave cola a picco portando con sé un pezzo di storia della città e del suo mare. Due anni fa la morte di Raffaello de Banfield, dopo il sequestro della villa di Gretta, sigla con una nota luttuosa la fine della lunga avventura triestina dalla grande casata.

(Ha collaborato Sergio Flegar)

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