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I ‘miracoli’ dello zaratino a Orvieto (orvietosi.it 15 giu)

di Pier Luigi Leoni

Appunti per una tesi di laurea. Disciplina: psicologia sociale. Argomento: l’inaspettata elezione di uno zaratino a sindaco di Orvieto.

Non è detto che la tesi non si farà. Sono state scritti molti volumi su San Pietro Parenzo, il romano che fu per soli tre mesi podestà di Orvieto e che fece la fine che fece. Antonio Concina è in sella da quasi un anno e ha resistito a varie martellate sulla testa. Ovviamente si tratta di martellate metaforiche, anzi di spari: spari di cazzate. Come quando fu accusato in consiglio comunale di voler vendere Orvieto ai palazzinari romani. O come quando il partito democratico ha indetto una specie di conferenza stampa e i caporioni,  dopo aver fatto merenda con pane e volpe, hanno mandato a dire al sindaco che gli faranno passare il bilancio e poi lo manderanno a casa. E lui li ha mandati a quel paese. E loro ci sono rimasti male. E la gente vuole capire. Ma non tutti i desideri sono facili da esaudire. La vita è piena di misteri.

Solo la scienza ci può aiutare. Proviamo con la psicologia sociale.

Gli elettori orvietani appartenenti alla fazione del centrodestra (d’ora in poi li chiameremo Guelfi, dato che la solfa è sempre la stessa da mille anni) erano frustrati da sessant’anni di inutili approcci al potere cittadino. Non solo non avevano mai comandato, ma, per poter coltivare gli interessi personali e di famiglia, si erano dovuti umiliare davanti ai Ghibellini (così chiameremo, per simmetria, gli appartenenti alla fazione del centrosinistra) o addirittura erano dovuti passare all’altra sponda. Per un cattolico moderato (figuriamoci per un nostalgico dei treni in orario e dei contadini quando stavano al loro posto)  il solo ascolto della parlata dei villani padroni del municipio e dei borghesucci che li affiancavano, era motivo di inutile rabbia e conseguente depressione. Per loro la primavera del 2009, con le elezioni comunali, si profilava come l’ennesima sconfitta e si apprestavano a occupare i soliti scrannetti nella solita opposizione. C’erano però delle simpatiche novità che davano ai Guelfi qualche sprazzo di speranza. I Ghibellini sembravano una salsa maionese impazzita. Mentre tra i Guelfi era sorto un movimento, o, più precisamente, un club di personcine sveglie, con l’aria di tecnocrati d’impronta liberale, che avevano formato una lista e avevano proposto un candidato sindaco interessante: un pezzo grosso della comunicazione, dalmata originario di Zara, già abitante di Orvieto negli anni giovanili, che era ritornato per godersi la pensione. Evidentemente, il suo concetto di godimento della pensione non era quello normale. Splendida la campagna elettorale dell’attempato ma vispo zaratino, confusa e acida quella della candidata avversaria. Conclusione: lo zaratino conquista la carica di sindaco, i Ghibellini conquistano la maggioranza dei seggi in consiglio comunale.

Il popolo guelfo esulta e crede di poter rivoltare Orvieto come un pedalino. S’illude che i Ghibellini che avevano votato il sindaco eletto si sbranchino e sostengano l’esecutivo. Ma l’illusione dura pochi giorni. Fino a quando non si tratta di eleggere i presidenti del consiglio comunale e delle commissioni. I Ghibellini si dividono quelle poltrone in modo da regolare i rapporti interni e da stringere il sindaco e la sua giunta in una morsa. I Guelfi, invece di ripiombare nella depressione sessantennale, si sdoppiano: una parte vuole sbaraccare tutto e tentare, sfruttando la popolarità del sindaco, di conquistare anche il consiglio comunale. Una parte non crede nella vittoria e preferisce prendere tempo cercando di far emergere le contraddizioni dei Ghibellini e contando sulla difficoltà di una loro ricomposizione.

Su ciascuna delle posizioni pesa la disastrosa situazione finanziaria del comune. C’è chi spera che una fase di commissariamento prefettizio faccia emergere tutte le responsabilità della vecchia classe politica e faccia quindi giustizia. C’è chi non si fida dell’effetto-commissario, anzi crede che si risolverebbe in una fase di appiattimento tutta a favore della ricomposizione della fazione ghibellina.

L’azione della giunta comunale, a parte la precarietà dell’assetto consiliare (dove i Ghibellini avrebbero, almeno sulla carta, tutti i numeri per mandarla a casa), non soddisfa né a destra né a manca. A parte la qualità del sindaco e degli assessori da lui nominati, emerge un quadro piuttosto chiaro: il sindaco non ha esperienza di amministrazione locale e, se conosce bene la psicologia umana, non è uno specialista in mentalità orvietana, che ne rappresenta una singolare variante. La giunta, in situazioni del genere, tutt’altro che infrequenti, dovrebbe supportare il sindaco in attesa che egli entri pienamente nella parte. Ma anche la giunta è formata da gente nuovissima in quel ruolo. In situazioni analoghe, è l’apparato comunale (e segnatamente i dirigenti) che dovrebbero assistere  e supportare il sindaco e la giunta. Ma l’apparato e i dirigenti non possono non essere ostili al sindaco e, soprattutto, alla sua giunta. Non per malignità, ma per la forza delle cose. Essi non possono dimenticare da dove provengono né chi li ha collocati. Essi sanno contare i voti delle elezioni comunali e di quelle regionali. Anche se volessero, non potrebbero compromettersi adoperandosi per il successo di questo sindaco e di questa giunta. Il rischio sarebbe troppo alto.

Sono queste le difficoltà che deve affrontare il sindaco, che qualche miracolo lo ha fatto e lo fa, ma ha bisogno di tempo per far girare a pieno ritmo al sua amministrazione.

Si vedrà durante questo mese se la mancata ricomposizione dell’area ghibellina darà al sindaco la possibilità e il tempo di portare a termine la fase di rodaggio. Se ciò avverrà, la giunta potrà essere rafforzata e l’apparato burocratico rimotivato. Altrimenti, nemici come prima e andiamo alle urne. Siamo allo “sni” o “sna” di Zorro.

 

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