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Gottardi e il dialetto fiumano nel cuore (La Voce del Popolo 04 lug)

FIUME – “Nato a Fiume” e “Come parlavamo” sono le due opere letterarie di Francesco Gottardi la cui presentazione ha concluso nella giornata del patrono della città, San Vito. L’evento è stata un’ottima occasione per trovare gli innumerevoli spunti che uniscono i fiumani e quelli in esilio.
È stata una lezione di fiumanità, quella regalataci da Francesco Gottardi, raccontata in prima persona.
“Son fiuman patoco -, esordisce l’autore nato a Fiume nel 1925, – questo spiega il mio amore per le tradizioni legate a questa città. ‘Come mangiavamo a Fiume nell’Imperial Regia cucina asburgica’, è stato la prima opera letteraria che ho scritto. Il libro, pubblicato dall’EDIT, ha segnato pure il mio primo ricongiungimento spirituale con l’amata città, poiché la mia famiglia nell’immediato dopoguerra imboccò la via dell’esodo, ritornandovi a Fiume solo dopo 50 anni. Per la stesura del volume, esaurito in pochi mesi, ho consultato diverse pubblicazioni culinarie dell’Impero asburgico. Nello studio delle ricette fiumane ho potuto constatare che quasi tutte adoperano termini stranieri tipo: palacinca, chìfel, cràfen, orehgnaza, putiza, gulas, strùdel, nomi che nella lingua dantesca non esistono. Pur conoscendo i termini ho voluto scoprire la loro provenienza e terminologia. Ho comprare ricettari della cucina tradizionale dell’Impero, boemi, rumeni, ungheresi, trovando così l’origine delle parole che tante volte presenta radici linguistiche sorprendenti. Ho scoperto così che palacinca è ripreso dal latino ‘placenta’, da cui il rumeno ‘placinta’, da cui l’ungherese ‘palacinta’ e da cui infine il boemo ‘palacinka’.

Le parole straniere nel dialetto fiumano

Ho voluto condividere queste mie chiamiamole scoperte (la storia delle parole straniere nel dialetto fiumano) anche con gli altri ed ho scritto una prima versione di ‘Come parlavamo’, pubblicato dall’EDIT, come allegato alla rivista ‘Panorama’. I termini assimilati da altre parlate portano ad un’analisi che non è né semplice né breve. Il dialetto, a differenza della lingua, è più conservatorio. Le espressioni che svaniscono nella lingua rimangono nella parlata dialettale. Per questo motivo ho voluto approfondire la mia ricerca per cercare di completarla. Di fondamentale aiuto è stato la bellissima opera di Riccardo Gigante ‘Folclore fiumano’, dove l’autore descrive gli usi e costumi nonché la parlata a Fiume nel periodo antecedente alla prima guerra mondiale. Le differenze sono tantissime; una cosa tipicamente cambiata nel dialetto antico di Fiume, tanto per fare un esempio, è l’uso della ‘Z’ al posto della ‘C’. Si diceva zento al posto di cento. Ed è un modo di dire rimasto ancora in uso tra la popolazione anziana. Mio nonno diceva ”De ogni tocà de Dio, zento pas(s)i indrio, de ogni zoto zentoeoto”, nel senso che tutti i disabili sono da evitare, soprattutto gli zoppi. Un proverbio fiumano discriminatorio e scorretto, ma ai tempi del nonno, circa cento anni fa, quando il rispetto per i disabili era praticamente zero, era molto in voga. Con lo stimolo di conoscere e sapere è nata la necessità di fare un’opera più completa. Da qui il libro ‘Come parlavamo’, storia letteraria ed etnografica del dialetto fiumano, com’era parlato negli anni ’30. Il volume contiene anche una breve storia della città di Fiume e del dialetto. Ho cercato di presentare il corso degli eventi storici quanto più oggettivamente possibile spiegando il perché Fiume è rimasta un’isola italiana, con un forte entroterra croato. La risposta, penso, sia abbastanza semplice: a Fiume fino all’ultima guerra, l’immigrazione croata era molto limitata. Con l’istituzione del porto franco giunse in città gente da tutto l’Impero, che arrivata in città si ‘fiumanizzava’ con estrema rapidità. Con i loro nipoti, nati a Fiume, parlavano in dialetto fiumano. In questo crocevia di popoli e cultura il dialetto fiumano era comune a tutti”.

Memorie di un ottuagenario

Gottardi rileva che i fiumani tendevano a mischiare le lingue di tutto l’Impero: “Il dialetto fiumano ha la particolarità di prendere una parola da un’altra lingua e applicare il traslato dell’altra. La maggior parte delle parole derivava dal tedesco, che era la lingua dominante. Chi avava frequentato le scuole ungheresi non usavano la ‘buona lingua’ e semplicemente non si rendeva conto che non poteva essere capito fuori dall’ambiente fiumano o del Veneto. Ricordo ancora le parole di mia madre – racconta Gottardi – quando, già in esilio, si lagnava ‘Son andada dal pec e ghe go domandado una caseriza, ghe go domandado anche un chiflinzi e una struza de pan. Ma lui diseva che non el capise. Mi me par che i fazi apposta perché i la ga con noi profughi”.
La seconda opera di Francesco Gottardi, ”Nato a Fiume – Memorie di un ottuagenario”, è un libro autobiografico, nata fondamentale dai ricordi, a partire dall’infanzia, fino alla tragiche vicissitudini della città. E anche questo riscontrerà sicuramente l’interesse dei lettori, soprattutto quelli che Fiume l’hanno sempre nel cuore. (gian)

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