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Gli indennezzi per gli esuli patrimoniale ‘ante litteram’ (Il Piccolo 17 apr)

Egregio professor Monti,

 

sono costretta a rivolgermi a lei, per pregarla di inserire nell’elenco, lunghissimo, dei disordini interni, il problema dimenticato (volutamente?) degli esuli giuliano-dalmati, dopo il trattato di pace Italia-Jugoslavia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. Si ha il dovere di ricordare senza rimaner ostaggi del passato, ha detto qualcuno. È vero! Ma siccome alcuni fatti del passato non sono stati mai rivelati né risolti, come le ingiustizie e gli abusi subiti dagli esuli per leggi inventate da maldestri o politicizzati ministri italiani e per leggi incostituzionali applicate da vinti e vincitori, oggi, dopo circa 60 anni devono venir rivelate e risolte, basta che ci sia la volontà di farlo, da ambo le parti, oramai tutti riuniti nella Comune casa Europea. Il che vorrebbe dire: per l’Italia, la restituzione del prestito imposto agli esuli meno gli importi ricevuti come indennizzo, più gli interessi maturati dalla prima legge a oggi. Per Croazia e Slovenia, eredi dei pasticci jugoslavi, la restituzione dei beni confiscati.

 

Il Trattato di pace con la Jugoslavia di Tito, Parigi febbraio 1947, imponeva all’Italia, sconfitta, di pagare circa 120 milioni di dollari per riparazioni belliche. Non è noto come si sia arrivati, né con quali accordi o leggi, a barattare il valore dei beni degli esuli, e diffalcarli dal debito di guerra, senza interpellare i titolari di questi beni. Comunque nel 1956 il Parlamento decise di varare una legge per indennizzare questi titolari di beni nazionalizzati dalla Jugoslavia e utilizzati dal governo italiano, partendo dal valore del bene al 1938 moltiplicato per coefficienti di rivalutazione scalari. Una patrimoniale estrema ante litteram con coefficienti di rivalutazione irrisori, confrontati con i calcoli Istat di quei tempi. Sembrò un’attenzione generosa verso i meno abbienti, ma in realtà non c’era soldi sufficienti per coprire tutto il prestito forzato e così, malgrado i vari indennizzi successivi, i più abbienti di allora, oramai non molti i sopravvissuti e alcuni senza pensione, da 56 anni, aspettano il conguaglio giusto e definitivo. Assurdo e vergognoso perché è stato imposto questo sacrificio, la perdita del patrimonio di famiglia (case, terreni, aziende), solamente ad alcune centinaia di migliaia di persone al posto dell’inteera nazione.

 

Ora certo il momento è difficile, ma da sessant’anni è sempre stato così; non è mai stato il momento di saldare il debito con gli esuli, manipolati da destra e da sinistra. Credo che essi abbiano diritto a una risposta concreta, non ideologica né pre-elettorale, prima che altri Paesi della ex Jugoslavia entrino in Europa senza aver prima risolto il problema dell’appropriazione indebita dei beni degli esuli, resa possibile da leggi incredibili come quelle sull’opzione e sulle confische. Opzione: Tito nel 1947 firmando il trattato di pace con l’Italia, si impegnò a rispettare gli italiani residenti nelle terre occupate e i loro beni. Dichiarò poi, che tutti i cittadini residenti nelle terre conquistate, sarebbero diventati automaticamente cittadini jugoslavi, però con la facoltà di optare per mantenere la propria nazionalità. Nessuno all’epoca pensò che quella facoltà sarebbe diventata l’inizio di una immane tragedia (esodo, foibe, condanne, violenze) e tanti anni dopo, il principale ostacolo alla possibilità di ottenere la restituzione dei beni, secondo la legge croata, subdolamente varata nel 2002. Confische: dopo il Trattato di Pace furono nazionalizzate le proprietà degli italiani che avevano scelto di uscire dalla Jugoslavia con l’opzione, e quelle della media e alta borghesia jugoslava, ma senza poter esser messe in vendita, per impegno sottoscritto. Fu l’élite di Tito che riuscì a risolvere il problema, avendo notata la stupenda costa da Capodistria all’Albania costellata di incantevoli isole. Scelta la casa o la villa o il palazzo di proprio gradimento, veniva inventata una denuncia contro l’intestatario del bene, seguita da una immediata condanna come nemico del popolo che portava alla confisca dei beni. E i beni confiscati potevano venir messi in vendita dai comuni di appartenenza, previa asta (fasulla).

 

Ora, questi beni così comperati, secondo le leggi vigenti nei paesi eredi della ex Jugoslavia, non possono esser oggetto di riscatto perché all’attuale proprietario spetta sia riconosciuta la presutna buona fede nell’acquisto. Prima che tutti i protagonisti di questa triste e tragica storia se ne siano andati (io ho 87 anni), amareggiati e delusi dal proprio paese, sarebbe bello veder la compagine etico–tecnica affrontare e risolvere questa importante e delicata questione, come esempio di vera democrazia, di diritti umani, di rispetto reciproco.

 

Caterina Martinoli

“Il Piccolo” 17 aprile 2012

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