ANVGD_cover-post-no-img

Forza sul Corriere della Sera (Voce del Popolo 05 gen)

Con il titolo “L’identità nazionale”, nella sua edizione in Internet di venerdì 2 gennaio il Corriere della sera ha pubblicato questa versione parziale e ridotta della lettera inviata a Sergio Romano dal direttore dell’EDIT Silvio Forza.

Caro Romano, devo dissentire dal suo giudizio sull’inconsistenza della presenza italiana in Istria e a Fiume. Qui ci sono asili italiani, scuole elementari, medie e superiori con lingua d’insegnamento italiana, corsi di laurea in italiano, le redazioni italiane di Radio Pola e Radio Fiume, le redazioni italiane di TV e Radio Capodistria, l’importante Centro di ricerche storiche di Rovigno con una Biblioteca depositaria del Consiglio d’Europa. A Fiume c’è l’Edit (acronimo di Edizioni Italiane), che pubblica dal 1944 il quotidiano La Voce del Popolo, dal 1952 il quindicinale Panorama, dal 1964 la rivista letteraria La Battana, dal 1949 il mensile per ragazzi Arcobaleno, manuali per le scuole italiane di Croazia e collane editoriali funzionali alla promozione agli autori italiani dell’Istria e di Fiume.

L’Edit ha conservato quella secolare tradizione del giornalismo italiano nato in Istria e a Fiume quando Pola era Pola anche sotto sovranità asburgica. Per questa ragione, di fronte all’ostinato monolinguismo (croato) imposto dalle guide turistiche e dai giornali italiani, di fronte alla spudoratezza per la quale, nelle guide turistiche croate, l’aggettivo italiano viene usato solo per farlo seguire al sostantivo di occupatore (come se prima del 1922 qui gli italiani non ci fossero mai stati), quest’ennesima distrazione ci conferma – come ha notato Ezio Giuricin ne La Voce del Popolo di Fiume – che Antonio Quarantotti Gambini aveva pienamente ragione a definirci «italiani sbagliati».

Per quel che mi riguarda, ho deciso di far mia la strada battuta da una nostra connazionale di Rovigno d’Istria. Quando, durante un suo soggiorno in Italia, si è sentita dire per l’ennesima volta «ma come parla bene l’italiano», ha dato una risposta semplicissima: «Anche lei!».

Silvio Forza

Per dovere di cronaca riportiamo di seguito la versione integrale della lettera:

Caro Ambasciatore Romano

Non è assolutamente mia intenzione contestare la denominazione ufficiale di Fiume che, in quanto città appartenente allo stato croato, è quella di Rijeka.

Come del resto non è mia intenzione mettere in dubbio la legittimità storica, culturale ed etnica di assegnare a Fiume, da parte croata, il nome di Rijeka.

Ma sono convintissimo, al contempo, che ragioni di natura puramente linguistica – e che nulla hanno a che vedere con il patriottismo – impongono a chi scrive e parla in italiano di usare il nome di Fiume. Scrivere, in una testata italiana, dei campionati di nuoto di Rijeka è una cacofonia assordante. Sarebbe un po' come dire che l'Italia è campione del mondo di calcio perché ha vinto i mondiali di Deutschland: una leggerezza estremamente imbarazzante, e che tale dovrebbe essere per tutti gli italiani, non soltanto per noi che continuano a pensare e sognare in italiano pur abitando tuttora in Istria e a Fiume. Mai mi permetterei di suggerire ad un croato di dire Roma invece di Rim (e in Croazia è sempre Rim, senza eccezioni), oppure ad uno sloveno di scrivere Venezia invece di Benetke (e in Slovenia è sempre Benetke, senza eccezioni). Per questa ragione, che nulla ha da spartire con i sentimenti di appartenenza nazionale o con il nazionalismo, sono fermamente convinto che per motivi linguistici e culturali, in italiano Fiume debba rimanere Fiume.

Fare il contrario è storpiare la lingua e tradire la cultura (oltre che la memoria collettiva) ma rendersi conto di ciò sarebbe chiedere troppo ad un'Italia puntualmente distratta sul tema.

Ma c'è, ovviamente, dell'altro. Siccome non stiamo parlando di Lemberg – Lvov – Leopoli, bensì di Fiume, (città in cui " l'italianità", come ha notato Ezio Giuricin nel quotidiano italiano " La Voce del Popolo" di Fiume, "non è né accidentale, né marginale" ma è invece "un segmento indissolubile dell'identità urbana"), non è secondario il fatto che Fiume è un toponimo originario, non è la traduzione di un ipotetico preesistente nome croato di Rijeka, come invece potrebbe esserlo Mogadiscio per Muqdisho. Ed è paradossale il fatto che laddove la presenza italiana è stata colonizzatrice, sostanzialmente occupatrice, si continui ad usare il nome italiano mentre laddove, come a Fiume, la presenza italiana è autoctona, si ricorra ad una specie di estemporaneo pudore.

Ed è ancor più paradossale – e umiliante per noi italiani dell'Istria, Quarnero e Dalmazia – renderci conto che se gli europei di nuoto si fossero svolti a Zagreb oppure a Beograd, i giornali italiani avrebbero scritto tranquillamente Zagabria e Belgrado.

Se da una parte è comprensibile che le nuove autorità istriane nel 1945 abbiano imposto a località istriane quali Promontore o Valle traduzioni in cui si è perso anche il connotato semantico del toponimo (promontorio in croato è rt non Premantura, valle è dolina non Bale), è sconfortante apprendere che in Italia (beninteso, non da parte sua, ma è un fenomeno diffuso) si possa pensare che la toponomastica italiana istrofiumana sia una traduzione di preesistenti denominazioni slave.

La lingua, come tutti sanno, è un organismo che cambia.

La parole si conservano con l'uso, non con la loro esposizione museale.

Ad esempio, nel caso dell'isola dalmata di Lesina, il cui nome non rientra di certo nel vocabolario quotidiano dell'italiano medio, forse sarebbe giusto passare al toponimo croato di Hvar.

Dunque, più che la presenza di un nucleo italiano in sede, il mantenimento della versione italiana di un nome dipende da ciò che si potrebbe definire continuità d'uso. Infatti, nell'italiano non c'è stata rottura di continuità nella coscienza linguistica per quel che riguarda Nizza o la Savoia che mai sono diventate Nice e Savoie.

Per Pola e Fiume è successo il contrario: ragioni di opportunità politica (la necessità di redimersi dai peccati risalenti alla II Guerra mondiale) hanno provocato appunto la rottura (anche) della continuità toponomastica e Pola e Fiume sono state cassate, rimosse, dal "vocabolario quotidiano dell'italiano medio".

Ma se la politica antislava perpetrata in Istria dal fascismo è stata una grave colpa italiana, altrettanto lo è stato l'atteggiamento verso l'italianità superstite nei territori ceduti: "un'italianità" – e citiamo ancora Giuricin – "rimossa, dimenticata, perduta.

Per quanto si cerchi di mantenerla forte e vitale, di alimentarla e rinnovarla quotidianamente, arricchendola di nuovi apporti e contenuti, essa continua a vivere come una parte amputata dallo spazio culturale, civile e politico della nostra Nazione Madre.

" Dove per nazione madre intendiamo, forse anacronisticamente, l'Italia.

Per questa ragione devo concludere dissentendo dal suo giudizio sull'inconsistenza della presenza italiana in Istria e a Fiume. Qui ci sono asili italiani, scuole elementari, medie e superiori con lingua d'insegnamento italiana (anche chimica e biologia), corsi di laurea in italiano (e non di lingua e letteratura italiana), le redazioni italiane di Radio Pola e Radio Fiume, le redazioni italiane di TV e Radio Capodistria, c'è l'importante Centro di ricerche storiche di Rovigno con una Biblioteca depositaria del Consiglio d'Europa.

A Fiume c'è l'EDIT (acronimo di Edizioni Italiane), che pubblica dal 1944 il quotidiano " La Voce del Popolo", dal 1952 il quindicinale "Panorama", dal 1964 la rivista letteraria " La Battana ", dal 1949 il mensile per ragazzi "Arcobaleno", manuali per le scuole italiane di Croazia e collane editoriali funzionali alla promozione agli autori italiani dell'Istria e di Fiume.

L'EDIT ha conservato quella secolare tradizione del giornalismo italiano nato in Istria e a Fiume quando Pola era Pola anche sotto sovranità asburgica.

Per questa ragione, di fronte all'ostinato monolinguismo (croato) imposto dalle guide turistiche e dai giornali italiani, di fronte alla spudoratezza per la quale, nelle guide turistiche croate, l'aggettivo italiano viene usato solo per farlo seguire al sostantivo di occupatore (come se prima del 1920 qui gli Italiani non ci fossero mai stati), quest'ennesima distrazione ci conferma – come ha ben notato sempre Giuricin – che Pier Antonio Quarantotti Gambini aveva pienamente ragione a definirci "italiani sbagliati".

Per quel che mi riguarda, ho deciso di far mia la strada battuta da una nostra connazionale di Rovigno d'Istria, che dall'alto dei suoi ottant'anni ha estratto dalla tasca il jolly della saggezza.

Quando, durante un suo soggiorno in Italia, si è sentita dire per l'ennesima volta "ma come parla bene l'italiano", ha dato una risposta semplicissima. E così l'autore di quell'inflazionata osservazione "ma come parla bene l'italiano", si è sentito rispondere: "anche lei"!

Silvio Forza
Direttore dell'EDIT
La casa editrice degli italiani di Croazia e Slovenia

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.