ANVGD_cover-post-no-img

Foibe ed Esodo: ora sono Storia (Il Piccolo 10 feb)

di RAOUL PUPO

È ormai da sei anni che si celebra il Giorno del Ricordo. Per la verità, lo si nota di più in altre città d’Italia, a cominciare dalla capitale, che non a Trieste. Questo è comprensibile e, tutto sommato, anche giusto. Se si parla della storia delle foibe, dell’esodo e della più complessa vicenda del confine orientale, come recita la legge, in quella storia Trieste è completamente immersa e la sua memoria è così presente e pervasiva da risultare in alcuni casi soffocante. Diversa è la situazione nel resto d’Italia dove le tragedie giuliane sono rimaste a lungo poco conosciute, e del resto proprio a questa generale rimozione il Giorno del Ricordo ha inteso porre riparo, facendo compiere un salto di qualità a una tendenza già in atto nel decennio precedente. È dunque cambiato qualcosa in questi anni? Direi di sì e, complessivamente, in meglio.

Facciamo qualche esempio. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso chiunque si occupasse, per passione o professione, della memoria degli esuli giuliano dalmati, non poteva che notare con angoscia come quella memoria fosse sul punto di estinguersi, trascinando con sé il ricordo non solo dei lutti di una generazione, ma del patrimonio storico di un intero popolo. Oggi quella memoria è salvata, la continuità con il passato non è del tutto spezzata, molti fili che legano il presente alle sue radici si sono riannodati. La memoria stessa, come spesso accade, si è evoluta. Vent’anni fa era una memoria terminale, che urlava il dolore della lacerazione e l’incombenza della fine. Oggi è una memoria vitale, che ha scoperto altre dimensioni: quelle dei nuovi inizi, anche se attraverso la sofferenza, della diaspora che è smarrimento ma anche conquista, della disseminazione delle proprie esperienze in realtà così diverse rispetto a quella di origine. Simbolo eloquente di questa evoluzione è il monumento che sta per sorgere nei pressi del valico di Rabuiese e che esprime la nuova sensibilità presente nelle stesse organizzazioni dei profughi: l’immagine è quella delle ruote che partono dalle contrade dell’Istria – certo, perché costrette – e poi si aprono a ventaglio verso le contrade del mondo, in una lunga Odissea.

Qualche passo avanti lo si può notare anche nel modo di considerare la memoria: da qualche tempo a questa parte – era ora! – si sente parlare un po’ meno di ”memorie condivise”, strano concetto fondato su di una contraddizione in termini, e un po’ di più di rispetto delle memorie, irriducibili nella loro soggettività.

È un cammino in corso, che trova momenti alti nelle iniziative di ”purificazione della memoria” avviate da alcune comunità ecclesiali e che sottintendono la presenza in ogni memoria – non solo in quella degli ”altri” – di zone oscure di cui va presa coscienza.

Infine, anche la storia, cioè la ricostruzione critica del passato, ha fatto passi avanti. Li ha fatti sui temi canonici – foibe ed esodo, si capisce – ma anche sugli altri segmenti della storia del confine orientale. Anzi, quella che per decenni era stata guardata come storia locale si è proposta, ed è stata largamente accolta in Italia, come un laboratorio della contemporaneità nell’Europa di mezzo. Si è compreso infatti, grazie alle numerosissime iniziative di studio, dibattito e divulgazione che si sono moltiplicate in questi anni assai fecondi, come esaminare le vicende dell’Adriatico orientale, dall’Isonzo fino alle coste dalmate, offra chiavi di lettura importanti per comprendere questioni essenziali della contemporaneità. Alcune riguardano il recente passato, come i processi di nazionalizzazione, le dinamiche degli stati per la nazione, le ambizioni totalitarie dei regimi di massa, i sistemi di occupazione e le logiche della violenza durante e dopo le guerre mondiali, i grandi spostamenti di popolazione che hanno mutato il volto del Vecchio continente. Altre ci conducono diritti ai problemi del presente dell’integrazione europea, come la costruzione delle identità collettive, multiple o esclusive, e i diritti di cittadinanza.

Solo luci dunque, da considerare? Naturalmente no, non sarebbe possibile. Fra le ombre credo emergano due questioni.

La prima riguarda il ruolo della politica. Non c’è dubbio, è stata la politica a riaccendere l’attenzione sulla storia giuliana. Avrà certo contato il desiderio di integrare nella memoria nazionale una sua componente significativa e dolente. Avranno pure contato, e probabilmente di più, le esigenze di legittimazione reciproca delle nuove forze politiche emerse dalla crisi della prima repubblica. Comunque, senza quegli interventi staremmo ancora rimestando una storia di provincia che non interessa a nessuno, che si parli del fascismo di frontiera o di Basovizza. La tentazione però di trasformare l’uso pubblico della storia in uso di parte è sempre molto forte, e le cadute non sono certo mancate, per tutta la lunghezza dello Stivale. Ciò è male di per sé e lo è ancora di più, nella sua miopia, perché ogni volta che si cerca di rappresentare le pagine anche più cupe delle vicende giuliane come patrimonio di una parte politica, si contraddice al fine generale della Giornata del Ricordo che è proprio quello, viceversa, di metterne in luce il valore per l’intera comunità nazionale.

La seconda difficoltà è più strutturale e si proietta su di una scala europea. Varie parti del continente infatti hanno visto proporsi nel corso dell’ultimo ventennio iniziative di recupero di memorie dolorose e sopite. Assai spesso queste memorie hanno una connotazione nazionale, e ciò apre una contraddizione. La causa principale infatti dei conflitti che nel corso del Novecento hanno insanguinato l’Europa, generando le vittime che oggi si commemorano, ha la sua radice nell’esclusivismo e nelle ambizioni nazionali. Le memorie riscoperte sono quindi per loro natura memorie divise, e ciò interferisce evidentemente con un processo di integrazione europea che vada al di là della sola dimensione del mercato. Altrove in Europa a temperare la contraddizione sono intervenute le istituzioni degli Stati, con gesti forti e impegni comuni. Negli ultimi dieci anni sulle sponde adriatiche, in Italia, Slovenia e Croazia ciò non è accaduto.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.