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”èStoria” e la febbre del confine orientale (Il Piccolo 22 mag)

GORIZIA La storia oscilla tra Occidente e Oriente, dall’espansione romana nel Mediterraneo alle attuali crisi sugli scacchieri asiatici e mediorentali il confronto e lo scontro di genti, religioni e culture è una costante che altalena nel tempo. Leggere le trame di questa immensa narrazione è uno sforzo di comprensione sul quale la storiografia non si stanca di interrogarsi. La sesta edizione di èStoria, il Festival internazionale della storia che si tiene fino a domani a Gorizia per iniziativa dell’associazione èStoria, a cura di Adriano e Federico Ossola, punta quest’anno l’obiettivo sugli Orienti, invitando storici, testimoni, giornalisti, scrittori – e soprattutto il pubblico – a incontri, approfondimenti e dibattiti focalizzando l’attenzione su alcuni dei mille percorsi possibili. Si parte dall’antichità, certo, con l’espansione romana (ne hanno parlato ieri Andrea Giardina e Mario Labate), passando per il medioevo tra Crociate e Templari.

E proprio la vicenda di monaci guerrieri, e i loro rapporti con la Setta degli Assassini, una setta sciita ereticale considerata prototipo del terrorsimo, è stata al centro di uno degli incontri ieri più seguiti, protagonisti lo storico Franco Cardini e Simonetta Cerrini con Barbara Frale, due studiose tra le più serie e preparate sulla vera storia «dell’ordine regligioso della chiesa cattolica con licenza di uccidere», come è stato definito. Al di là di leggende, mode e suggestioni secolari «i veri Templari sono ancora nascosti», ha detto Cerrini, nel senso che la realtà storica (e i contatti, non la complicità, dei monaci guerrieri con l’Islam lo dimostra) è molto più articolata e complessa di quanto libri e film ci abbiano finora raccontato.

Ma gli Orienti non sono solo al di là del Mediterraneo. C’è un Oriente a noi vicino, quella ”Porta d’Oriente” che il fascismo voleva fosse la Venezia Giulia, e la cui complessa, sofferta vicenda è stato uno dei principali temi conduttori della giornata inaugurale del festival. Ne hanno parlato Almerigo Apollonio, Milica Kacin Wohinz, Dario Mattiussi e Iztok Furlanic nell’incontro dedicato alle origini del fascismo di confine. Tra il 1918 e il 1921, in soli due anni, la situazione della minoranza slovena della Venezia Giulia subì un processo di snazionalizzazione che, iniziato con l’amministrazione militare italiana dopo la fine della prima guerra mondiale, seguito dal Governatorato della Venezia Giulia culminò con l’incendio del Balkan a Trieste. Una catena di azioni e reazioni – «ma attenzione agli anelli di congiunzione troppo facili», ha detto Apollonio – che sarebbe continuato fino al secondo dopoguerra, e sulla quale – dal punto di vista storiografico – solo in anni recenti la Commissione mista storico-culturale italo-slovena, che si è epressa sugli avventimenti tra il 1880 e il 1956, ha messo un punto fermo.

Tra queste azioni e reazioni l’occupazione fascista in Jugoslavia rappresenta uno dei capitoli «della guerra degli italiani non ancora diffuso e conosciuto». Lo ha detto Fabio Todero introducendo il dibattito, a cura dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, ”Marciando a Est”, con Gian Carlo Bertuzzi e Anna Maria Vinci, diventato subito l’occasione per evocare «la crudezza di quel fronte», la memoria cancellata dei crimini di guerra italiani rimasti chiusi nell’«armadio della vergogna».

C’è ancora molto da riporare alla luce, è stato detto, perché la storia si scrive e si riscrive, e quando non è revisionista, cioè mossa da intenzioni politiche o che nulla hanno a che fare con la ricerca, apre nuove prospettive di studio e riflessione. Come fa il libro di Tommaso Piffer ”Gli Alleati e la Resistenza italiana” (Il Mulino), presentato da Paolo Mieli assieme allo storico Santo Peli, che analizza alla luce di nuovi documenti i rapporti tra le formazioni partigiane e le truppe angloamericane durante la seconda guerra mondiale. Un libro, ha spiegato in sostanza Mieli, che dimostra quanto il sostegno dei militari americani fosse stato molto più incisivo di quanto la «vulgata» resistenziale, tesa «ad autoeleggersi come legittima rappresentante dell’altra parte d’Italia», quella che non stava con il fascismo, abbia tramandato almeno fino agli anni Settanta, come ha puntualizzato Peli.

Sono i grovigli della Storia, le incidenze e coincidenze che a distanza di anni, secoli, millenni costringono a una continua messa a punto della narrazione dei fatti nel tempo. Anche quando sono testimonianze dirette, come quelle lasciate da Silvano Cosolo e Mario Tonzar , entrambi comunisti italiani in quella Jugoslavia che deluse il primo e incarcerò il secondo (ne hanno parlato Enrico Bullian, Anna Di Gianantonio e Loredana Panariti), o raccontate dal partigiano Silvino Poletto, cui il giornalista Roberto Covaz ha dedicato il libro ”Gorizia al tempo della guerra” (Ed. Biblioteca dell’Immagine, si presenta domani alle 11 alla Tenda Apih). O, ancora, come quella di Aleksa Gilas, che sempre domani, alle 9.30, con Sergio Canciani racconterà la storia del padre dissidente Milovan (e la Leg ha appena acquisito i diritti del suo libro ”War Time”). Testimonianze che riportano a un vicino Oriente non meno inquieto dei tanti più lontani Orienti di scena un questi giorni a Gorizia.

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