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Drenig, avanguardista di relazioni italo-croate (Voce del Popolo 04ott13)

Parlare di Francesco Drenig – intellettuale, poeta, traduttore e anche fotografo formatosi nell’atmosfera multiculturale e mitteleuropea di Fiume – costituisce uno spunto prezioso per riflettere – e incontrarsi – sui grandi temi del burrascoso Novecento fiumano, epoca di grandi travagli, di scontri, di ferite e di trasformazioni, anche molto dolorose o che comunque hanno profondamente cambiato il volto della città. Una figura un po’ dimenticata, passata in sordina, quasi ignorata, vittima collaterale dei mutamenti e delle ideologie totalitarie che hanno contraddistinto lo scorso secolo.

A rievocarlo, e in un certo senso a rendergli il dovuto merito, è la mostra “Drenig. Contatti culturali italo-croati a Fiume 1900–1950”, che s’inaugura giovedì prossimo (ore 19) al Museo civico di Fiume, con la partecipazione dell’ente museale e il contributo della Società di Studi Fiumani a Roma.

Si realizza così una collaborazione importante, a suggello di uno sforzo comune teso alla riscoperta, alla conservazione, alla valorizzazione e alla promozione della storia e del patrimonio artistico e culturale della città. Ma a essere significativo è pure il contesto nel quale s’inserisce l’iniziativa, vale a dire le Giornate della Cultura e della Lingua italiana, promosse dal Consolato generale d’Italia a Fiume, con il concorso della Città e di numerose altre istituzioni locali, italiane e croate. È quasi un dare la giusta collocazione al personaggio, italiano convinto, sicuro della propria appartenenza linguistica e culturale, ma al contempo aperto agli altri, consapevole della necessità del dialogo con gli esponenti della cultura croata.

Curata da Ervin Dubrović, con una parte consistente del materiale offerto dalla Società di Studi Fiumani, la mostra proporrà oltre una ventina di fotografie d’epoca scattate da Drenig a Fiume, copie della sua corrispondenza con uomini di cultura croati e italiani, il ritratto fotografico con dedica del Comandante D’Annunzio, copia delle riviste “Delta”, “Fiumanella”, “Termini” e altre alle quali collaborò, i quadri di Ladislao De Gauss e Romolo Venucci, entrambi raffiguranti Drenig, sui ritratti a matita e carboncino realizzati dal pittore Sigfrido Pfau (affermato ritrattista di genere cubista, nato ad Abbazia nel 1899, esule a Scurcola Marsicana e dopo il 1949 a Roma, dove morì nel 1969).

Francesco Drenig nasce nel capoluogo quarnerino – quando questi, sotto la Monarchia Duplice, era porto principale e prospero dell’Ungheria – il 14 maggio 1892. Origini slovene e croate, come farebbe pensare il nome del villaggio di Drenik (zone centrali della Slovenia), la provenienza del padre e quella della madre, Veronika Čop (Veronica Ciop), di Tršće, nel Gorski kotar. Verso la fine degli anni 1880 il padre, il cocchiere Franc Matijin Drenik, si trasferisce da Cirknica, nel comune di Škofijica, vicino al confine austriaco, a Fiume e qui, nel 1890, si sposa. Poco dopo viene alla luce un figlio, Francesco. Al termine della Prima guerra mondiale il cognome assume la forma di Drenig.

Il figlio Francesco, dopo la scuola elementare, frequenta l’ungherese Accademia Superiore del Commercio (in seguito Istituto tecnico-commerciale e poi Istituto tecnico “Leonardo da Vinci”) e consegue il diploma di licenza in Ragioneria e Commercio. Dal 1909 al 1913 lavora presso la Società Dalmata di Commercio, per poi passare nel 1913 al Civico ufficio Tecnico, Magistrato civico, fino al maggio 1915. Si affilia alla Giovine Fiume e si unisce alla cerchia degli irredentisti locali; nell’ottobre del 1913, assieme a Luigi Cussar e Giorgio Gerngross, partecipa a un assalto al Palazzo del Governo. Viene arrestato e, nel maggio 1915, assieme ad altri 28 intellettuali fiumani, internato nel villaggio di Kiskunhalas, nell’entroterra ungherese e da lì al fronte in Galizia. Alla disfatta dell’esercito austroungarico rientra a Fiume ed entra immediatamente a far parte del Consiglio Nazionale Italiano. Poco dopo, il 30 aprile 1919, sposa Violetta (iscritta all’anagrafe con il nome di Ljubica) Maria Radovich, con la quale ha due figli: Lodoletta e Neri.

All’arrivo di D’Annunzio, Francesco Drenig milita nelle sue file come propagandista, senza però assumere un ruolo militare. Dopo anni di lavoro trascorsi a scuola, il 16 agosto 1926 trova impiego presso la Cassa di Risparmio, dove vi rimane fino al 31 marzo 1947. Scrive opere poetiche e traduzioni firmandosi con lo pseudonimo di Bruno Neri (e nella maggior parte dei casi con le sole iniziali b. n.), fonda le riviste “La Fiumanella” (1921) e “Delta” (1923–1925), che dopo l’iniziale nazionalismo adotteranno una linea rivolta all’autonomismo e al cosmopolitismo, di dialogo e ponte letterario con le nazioni confinanti. In seguito si dedicherà a una nuova rivista d’arte e letteratura, “Termini”, creata alla fine del 1936 e aperta agli influssi culturali dell’Est europeo.

Drenig non sarà un autore particolarmente prolifico: di lui ci restano tre poesie, alcune traduzioni, saggi e diversi articoli pubblicati sui giornali del periodo. È forse anche in quest’attività principalmente divulgativa che vanno ricercate le cause dell’oblio immeritato sceso su Drenig, al quale va il merito di aver saputo cogliere i nuovi fenomeni delle letterature della Jugoslavia (Dragutin Tadijanović, Gustav Krklec, Ivo Andrić) e una certa propensione per l’avanguardia (basti pensare che sarà il primo in assoluto a presentare al pubblico italiano Janko Polić Kamov, traducendo alcune sue poesie).

Francesco Drenig trascorre gli anni della Seconda guerra mondiale a Fiume lavorando sempre presso la Cassa di Risparmio, senza svolgere alcuna attività pubblica, né essere coinvolto in prima persona in agitazioni politiche e belliche. Dopo il Trattato di Pace di Parigi, che segnerà il passaggio della città dall’Italia alla Repubblica Federativa di Jugoslavia, come numerosi suoi connazionali decide di partire, e lo fa nella primavera del 1947. Si stabilisce a Fabriano, in provincia di Ancona, dove riprende a lavorare alle dipendenze della Cassa di Risparmio e stringe rapporti con altri esuli fiumani. Si spegnerà a Fabriano il 26 febbraio 1950.

Ilaria Rocchi
“la Voce del Popolo” 4 ottobre 2013

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