ANVGD_cover-post-no-img

Custovic racconta i balcani: ancora rischio di guerra (Il Piccolo 18 lug)

Alen Custovic* racconta i Balcani «Il rischio guerra non è passato»
Il giovane scrittore bosniaco profugo in Italia rievoca l’orrore del conflitto vissuto da bambino

 

Padre musulmano e madre ortodossa, Alen Custovic* è invece cattolico «per scelta». Giornalista, Premio Falk proprio con questo romanzo, Custovic* è uno dei primi scrittori figli delle guerre balcaniche, uno dei primi narratori della seconda generazione nata fra la macerie di una guerra sanguinosa e terribile che ha lasciato una profonda ferita nel cuore dell’Europa.
«Eloì, Eloì», titolo che ripete l’ultima invocazione di Cristo sulla croce, racconta la storia dell’amicizia fra il bosniaco Emir e l’italiano Armando. Emir è un professore mite, benvoluto da tutti, uomo tutto casa e famiglia che d’un tratto, di fronte allo sterminio dei suoi affetti più cari, si arruola e diventa un soldato spietato, costretto a imbracciare il fucile e a esercitare direttamente quella violenza che lo terrorizzava, fino a dover sgozzare un suo ex allievo arruolato nelle formazioni nemiche. Armando invece è un ex religioso, un sacerdote che ha rinunciato alla fede e si è sposato diventando padre, ora però costretto su una sedia a rotelle dopo un incidente – da lui causato – che ha ucciso moglie e figlio. Emir incontra Armando a Milano, dove si è rifugiato sperando di poter rinascere a un futuro di serenità, e fra i due sboccerà presto un’amicizia che aiuterà entrambi a superare il male lasciandosi alle spalle, forse definitivamente, un passato devastante.

Al tempo della guerra lei era un bambino. Qual è il ricordo più sofferto?

«Ci sono certe esperienze – risponde Cvustovic* -, soprattutto quelle della paura e dello sradicamento, che segnano profondamente. Avevo undici anni, andavo per i dodici, e di quell'esperienza ricordo ogni cosa, soprattutto una sensazione diffusa di precarietà esistenziale, come se tutto potesse finire da un momento all'altro. E per molti, purtroppo, tutto è finito da un momento all'altro. Il ricordo più sofferto? Quello dell'abbraccio con mio padre, quando con mia madre e mio fratello attraverso associazioni umanitarie sono partito per l'Italia, mentre lui doveva restare lì perché in quanto maschio aveva l'obbligo di impugnare un fucile».

A chi si ispirano le figure di Emir e di Armando?

«Si ispirano alla realtà dei fatti, persone che sono esistite ed esistono veramente. Se nel caso di Armando mi sono basato molto sulle figure di alcuni sacerdoti che ho conosciuto nella mia vita, in particolare sul mio amico don Ugo, Emir incarna una moltitudine di sensibilità e vicende che nel recente conflitto balcanico si sono manifestate in tutta la loro devastazione».

Il libro l'ha scritto in italiano: non dev’essere stato facile.

«L’italiano ormai è la mia lingua madre, e io mi sento pienamente italiano. Anzi, ho il problema contrario, capire cioè a quale dei vari posti dove ho vissuto e vivo in Italia io mi senta più legato, e quindi se sono più sardo, materano, romano o milanese. Scrivendo non ho avuto particolari difficoltà formali, se non quelle, forse, tipiche di ogni scrittore, cioè l'esigenza di dare ordine e coerenza a idee e sentimenti che come un fiume in piena investono l'immaginazione».

Nostalgia di Mostar?

«Nostalgia di per sé denota un desiderio malinconico, quasi violento, di tornare in una terra ritenuta patria. In questo senso non ho nostalgia di Mostar. È anche vero però che quando una persona vive un'esperienza di sradicamento è inevitabile che determinate radici restino, sono i tratti identitari di ciò che una persona è. Insomma, si acquisisce una sorta di "identità di confine", che io però non avverto come un fatto negativo, bensì come un aspetto enormemente arricchente della personalità».

Dal libro: «La guerra bosniaca era già finita da anni, ma il ricordo delle crudeltà accadute covava dentro Emir come un morbo». Il trauma è stato superato, oppure ancora oggi il morbo contagia bosniaci, croati e serbi?

«Domanda impegnativa, posso solo azzardare valutazioni personali. La mia sensibilità mi suggerisce che bisogna sempre stare all'erta, anche se la patologia della guerra per il momento è scomparsa. Il fatto è che ci sono territori, come appunto la Bosnia, dove la recidiva di certi fenomeni è una reale possibilità. Non a caso sul dizionario la parola balcanico è sinonimo di turbolento, instabile. Lo scrittore Ivo Andric, parlando di quella terra, con un'espressione suggestiva l'ha definita un "cortile maledetto". Una definizione che rende bene l'idea di come alla fine serbi, croati, musulmani, se non per la religione, in realtà sono molto simili tra di loro, proprio come dei vicini di casa che condividono uno stesso cortile».
Emir è un tranquillo professore che si trasforma in un soldato sanguinario, Armando un ex sacerdote che ha sulla coscienza la morte della sua famiglia: il male è in ciascuno di noi?

«Sì, il male è in ciascuno di noi. Riconoscere questa realtà è il primo e fondamentale passo verso il tentativo di migliorarci».
Sin dal titolo la religione, il messaggio cristiano, attraversa tutta la narrazione. Ma proprio la religione ha fomentato l'odio nelle guerre balcaniche…

«Mio padre è musulmano, mia madre ortodossa, io invece sono cattolico, una scelta compiuta in età adulta. Sono nato in un paese all'epoca socialista e sostanzialmente ateo, dove la ricerca del trascendente, attraverso una dimensione di fede, non era un argomento caldeggiato dall'ideologia dell'apparato. Ragione per cui io, come molti altri figli di coppie religiosamente miste, non sono stato spinto verso nessun percorso religioso. Il percorso l'ho trovato e scelto autonomamente, negli anni, una volta arrivato in Italia, dove ho avuto modo di vivere un lungo periodo di catecumenato e avvicinamento progressivo, non senza numerose reticenze, soprattutto razionali, verso il messaggio cristiano».

 

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.