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Crepaldi e Tamaro: confronto su Dio (Il Piccolo 04 mar)

TRIESTE «La disperazione e l’inquietudine che percorrono il nostro presente sono doni, sono segni importanti del nostro essere spirituale. Ma se non ci mettiamo in cammino rischiamo di continuare a ballare sull’orlo del baratro». Susanna Tamaro ha concluso così, con un’appassionata esortazione al cambiamento, il suo intervento al primo degli incontri sul tema ”Credere Deum” organizzati per la Quaresima dalla Cattedra di San Giusto. Per quasi due ore la scrittrice e l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi insieme a don Ettore Malnati e don Piergiorgio Regazzoni, hanno dialogato in una Cattedrale di San Giusto affollata all’inverosimile sul significato di Dio nella nostra società. Monsignor Crepaldi ha preso le mosse da alcune vicende umane per illustrare la concezione di Dio come gioia. «Secondo un’idea diffusa questo sentimento non ha nulla a che fare con il cristianesimo, legato piuttosto alla gravitas, a una certa tristezza, allo sprezzo del mondo. Ma pensiamo al significato delle beatitudini, a quella felicità che si alimenta da un desiderio mai totalmente soddisfatto».

«Oggi – ha ricordato l’arcivescovo – gli uomini e le donne hanno un bisogno incommensurabile di bellezza e di felicità». E proprio sul vuoto dei cuori si è soffermata Susanna Tamaro nella sua lunga e impietosa analisi. «Dov’è Dio oggi che cosa nel mondo ci parla di lui? – si è chiesta – Non sentiamo intorno a noi i segni della sua presenza. La ricca società occidentale ha completamente smarrito il senso profondo del suo esistere. Viviamo nel frastuono, nel bisogno ossessivo di riempire il silenzio – ha continuato – Ma in questo fluire continuo non ascoltiamo, non vediamo più e non possiamo andare alle radici dell’unicità del nostro essere».

I diktat sociali prescrivono l’estro creativo e il successo, continua Tamaro. Dio diviene così «un’opzione come tante altre, non un orizzonte verso cui tendere. Ma se gli orizzonti sono infiniti e mutevoli dove guideremo i nostri figli? Siamo divenuti una società senza cielo, erratica, in cui ci spostiamo in branchi come i grandi erbivori, in cerca di cibo migliore».

Dopo una stoccata al Sessantotto, Susanna Tamaro attacca la ”vulgata moderna del determinismo che viene soavemente e sapientemente insufflata dai media” e riduce l’uomo a pura biologia. «È un mezzo per controllare la nostra volontà – dice – per farci abdicare alla nostra possibilità di scelta».

Il concetto su cui riflettere è invece ”fragilità”. «È una parola scandalo in questi tempi innamorati dell’onnipotenza, perché ci rimanda alla nostra caducità, alla ricerca di senso, al silenzio, ad alzare gli occhi verso il cielo e all’infinito brillare di stelle e di mondi in cui percepire la nostra infinitesima piccolezza in cui c’è qualcosa di infinitamente grande. È l’emozione della bellezza – afferma la scrittrice – una delle vie in cui si compie l’interrogazione del senso e ci si sente partecipi di qualcosa d’immenso, trasformando l’oscuro andare dei giorni in un camminare lieto».

La conclusione di quest’articolata analisi è però ottimistica. «La nostra società è attraversata da profonde correnti di morte perché ha spossessato l’uomo della sua parte spirituale», dice Susanna Tamaro. «Ma i tempi in cui viviamo sono i più fecondi per cambiare direzione, rompere l’immagine dell’autonoma e divenire quella persona unica, irripetibile che contiene in sé quel frammento di cielo stellato nel compiersi consapevole del nostro destino».

Daniela Gross

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