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Corriere Romagna – 080208 – La mia fuga dall’amata Fiume

FORLÌ. Echi forlivesi del quarto "Giorno del Ricordo", che si celebra il 10
febbraio in tutt'Italia. Il 20 marzo 1947, il piroscafo "Toscana" salpava da
Pola con l'ultimo carico di esuli. I primi flutti dell'ondata di ben 350mil
a italiani, che preferirono lasciare terre in cui vivevano da generazioni
pur di non rimanere nel "paradiso comunista" del Maresciallo Tito, erano
apparsi l'indomani dello sciagurato 8 settembre 1943, con la rotta totale
dell'esercito mussoliniano.

La nuova vita per Edda Marchese Melini, forlivese d'adozione ma nata a
Fiume, la croata Rijeka, è invece sbocciata il 12 settembre 1947: «Quel
giorno – testimonia l'esule – io e la mia famiglia partimmo via terra,
diretti ad un campo profughi in Italia». Scelsero il Veneto, pensando di
poter continuare a parlare il loro dialetto. Edda Marchese, divenuta
insegnante, si trasferì poi a Milano, ove conobbe il marito Alfredo Melini,
musicista. A Forlì, ove risiede dal 1988, Edda si è ambientata
perfettamente. «E' una gran bella città, calorosa e accogliente come tutte
le comunità romagnole. Ma non è la mia Fiume». Il vero dramma patito
dall'oceano di esuli di cultura italiana fuggiti dall'Istoria, dalla Venezia
Giulia e dalla Dalmazia al termine del secondo conflitto mondiale, è proprio
lo strappo con la realtà: «Siamo sradicati – ricorda commossa Edda Marchese
Melini – e senza neppure una tomba su cui piangere i nostri avi». A
differenza di Trieste, Pola e dei maggiori centri dell'Istria liberati dagli
anglo-americani, Fiume, annessa all'Italia nel 1924 dopo il colpo di mano di
Gabriele D'Annunzio, fu occupata direttamente dalle milizie titine il 2
maggio 1945, togliendo ogni possibilità di fuga agli italiani residenti.
Nata da Francesco Marchese, legionario dannunziano, e da Ines Mikulicich,
dalmata italiana originaria di Buccari, la giovane Edda si ritrova di punto
in bianco senza fonte di sostentamento: l'Ozna, la polizia segreta del
dittatore comunista, cancella subito l'imprenditoria privata. I Mikulicich
si vedono requisire l'emporio che gestivano da generazioni nella
centralissima via Tartini. «Siamo stati costretti a optare per l'Italia, ma
ci sono voluti due anni». Il permesso di emigrazione rilasciato dalle
autorità jugoslave, riporta apertamente: "Smrt fascismu", "morte al
fascismo", utile a ricordare che «chi lascia queste terre liberate è un
fascista che non crede nella rivoluzione comunista». Come i Marchese non ci
credettero in 350mila. Ai pochi connazionali rimasti in Istria e a Fiume va
il merito di aver conservato l'italianità.

Piero Ghetti

 

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