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Basile e Vivoda a confronto sui ”rimasti” (Istria Europa 20 lug)

1 – Lettera di Riccardo Basile

PACIFICAZIONE SI, RISCHIO DI SUBIRE ALTRE OFFESE, NO!

E' crescente il numero degli Esuli che, sollecitati da alcuni loro autorevoli rappresentanti, si dice disposto a lasciare a casa memorie e lacrime per recarsi oltre i vecchi confini ad intavolare un dialogo alla pari, come se niente fosse accaduto, con i "Rimasti". Tutto ciò al nobile fine di costruire tutti insieme un comune futuro di pace e di progresso. Sostengono, costoro, che bisogna andare incontro alle comunità "italiane" di quei Paesi, parlare con loro nel dialetto proprio di quelle contrade, nell'intento di far rivivere la lingua e con essa, possibilmente, anche gli usi e i costumi dei comuni Padri.

Ipotizzano di tenere i prossimi Raduni nazionali nei luoghi che conobbero la loro infanzia e li videro innocenti vittime di Tito e dell'esercito dei suoi sgherri. Si ripropongono di affiggere targhe e di posare monumenti, tutti assieme, nei luoghi dove furono scritte le pagine più amare della storia del popolo giuliano, come, per dirne una, a Pola la spiaggia di "Vergarolla" e i moli da cui salparono i piroscafi verso la Libertà ma anche verso … l'ignoto.

Ora: si danno per scontate la purezza delle finalità e la nobiltà dei sentimenti che animano le suddette iniziative. Fermo restando ciò, si resta sconcertati di fronte a tanto candore. Si stenta a comprendere come non si tenga presente quanto accadde appena un anno fa, il 28 febbraio 2009, nei pressi della foiba di Golobivnica, a Corgnale, in Slovenia, ad un gruppo di Esuli che, armati di Crocefisso e rose rosse, si apprestava a compiere uno dei più elementari riti della nostra civiltà, l'onoranza ai Caduti: è stato affrontato da una ciurma di scalmanati, apostrofato nella nostra lingua con irripetibili epiteti e minacciato di percosse se non desisteva dall'intento.

Parimenti non si capisce come venga ignorata l'assoluta mancanza di ravvedimenti da parte dei governanti di quelle Repubbliche, restii finanche oggi a rimuovere, nei loro Paesi, le intitolazioni di Vie e Piazze a Tito. È qui opportuno ricordare che nella piazza dell'isola di Unje, in Croazia, è sempre al suo posto il monumento che mostra il Partigiano titino che calpesta il Bersagliere presente…

Stupisce ancora che si ignorino le continue poco civili "attenzioni" ancora oggi riservate alle poche e generiche iscrizioni che "di la" si richiamano all'Italia e alla nostra Storia. Non si considera che non è nemmeno ipotizzabile che le Autorità oggi imperanti in quei luoghi lascino scrivere, in targhe od altro, la Verità sulle vicende che ci riguardano. Nella migliore delle ipotesi Esse imporrebbero vili omissioni.

Sul fervore italico dei "Rimasti" e dei loro discendenti, ma in particolare dei loro Capi, non è una novità che si abbia ragione di nutrire qualche sospetto: siamo proprio sicuri che si tratti di sincero e disinteressato amore per l'Italia ? La tragedia dei Giuliani, come a noi tutti è ben noto, è figlia di un'incredibile storica ingiustizia, frutto non di un singolo scriteriato atto, ma di oltre sessanta anni di colpevole politica dello Stato Italiano e dei Paesi "vincitori" o considerati tali. Allo sciagurato popolo degli Esuli è rimasta una sola cosa: la "Dignità", una nobiltà morale non ritrovabile in altre Genti sottoposte ad analogo calvario.

Ecco, si ha il timore che l'adozione delle suddette iniziative possa ferirla. Non si reputa opportuno, pertanto, che i nostri Esuli vengano messi in condizioni di poter e dover subire altre offese. Non si chieda a chi senza colpe ha subito il trauma dell'Esodo di compiere altri sacrifici alla ricerca di una pacificazione non discendente da provvedimenti frutto di Verità e Giustizia.

Gen. Riccardo Basile Presidente Famiglia Polesana Trieste

2. Risposta di Lino Vivoda, Direttore di "Istria Europa":

Abbiamo ritenuto di pubblicare lo scritto del generale Basile, non per polemizzare col Presidente della Famiglia Polesana di Trieste ma perché viene opportuno proprio mentre a Sissano abbiamo dibattuto il tema "Le divisioni tra Istriani hanno ancora ragion di essere?". Riconosciamo a Basile la buona fede nel suo intervento come Lui la riconosce "a quelli autorevoli rappresentanti degli esuli" – tra i quali mi onoro di far parte – "disposti a "lasciare a casa memorie e lacrime per recarsi oltre i vecchi confini ad intavolare un dialogo alla pari, come se niente fosse accaduto, con i "Rimasti". Tutto ciò al nobile fine di costruire tutti insieme un comune futuro di pace e di progresso".

E qui invece non mi ritrovo, lo sono sempre andato a Pola col distintivo degli esuli e come tale tutti mi riconoscono. Non rinnego niente ed ho sempre presentato il mio vissuto: fratello di Sergio perito nel massacro di Vergarolla; partito nel febbraio 1947 col Toscana in quel triste viaggio passato per Bologna; otto anni di Campo profughi alla Caserma Ugo Botti di La Spezia con un migliaio di esuli da Pola;come Sindaco del Comune di Pola in esilio accogliendo l'invito fatto a Brescia dall'allora presidente della Comunità Italiana di Pola Olga Milotti sono stato tra i primi ad aprire il dialogo coi "Rimasti"; a seguito di ciò con l'amico Livio Dorigo presidente del Circolo Istria di Trieste e l'allora vicesindaco italiano di Pola Mario Quaranta, siamo riusciti ad avere il cippo che ricorda Vergarolla nel giardino a fianco del Duomo; sono oltre sessant'anni che collaboro attivamente nell'Associazionismo dei profughi. Penso quindi di avere tutte le carte in regola per cercare d sanare la frattura esuli rimasti, ognuno non rinunciando alle proprie vicissitudini che sono ormai storia.

Ora, accogliendo le possibilità che ci offre l'Europa Unita, dobbiamo andare avanti e guardare al futuro. Certo la strada è lunga e difficile, ma bisogna fare un passo alla volta. Senza scoraggiarsi delle difficoltà frapposte dai politicanti retrivi per mestiere. Vedi gli ostacoli al Concerto di Muti a Trieste. Io gioisco nel passare ormai un solo confine per andare da Imperia a Pola, sperando che presto sparisca anche quello; nel vedere cartelli bilingui in Istria; nel sapere che lo Statuto della Regione Istria, dopo otto anni di querelle con Zagabria, riconosce l'autoctonia italiana; che l'on. Radin ha ottenuto il doppio voto per la minoranza italiana. E non mi sembra poco.

Personalmente sono mosso dal mio viscerale amore per la terra che mi ha dato i natali, agendo perché continuino in Istria tradizioni, costumi e lingua italiani, che solo i rimasti possono garantire. Posso affermare, con cognizione di causa, che ci sono tra i rimasti alcuni più attaccati all'italianità dell'Istria di quegli esuli che dicono: "Che vadi a remengo l'Istria con tutti i sc'iavi".

Ma gli Stati Uniti sarebbero oggi una grande Nazione se avessero perpetrato la divisione tra sudisti e nordisti della guerra civile?

Due annotazioni finali. Al recente 54° raduno nazionale degli esuli da Pola, a Montegrotto Padova, durante il mio intervento ho detto "alzino la mano quelli che sarebbero disposti a fare il raduno a Pola". Tutta la platea, salvo una decina di contrari ha risposto alzando le mani.

Quando, tra mille difficoltà ed amarezze – e dovendo fare un giornale, "Istria Europa", per dibattere le mie idee che non trovavano accoglienza tra i giornali degli esuli – ho iniziato il discorso "riapertura", la proporzione era esattamente l'opposta. Ed ancora: un giorno telefonandomi Maria Pasquinelli, che non ha bisogno di presentazioni, per complimentarsi per la mia iniziativa, mi disse "Guardi che se anche tutti i rimasti fossero comunisti, dovremmo trattare con loro per salvare la lingua italiana in Istria". Per fortuna non è così, perciò bisogna andare avanti, passo dopo passo…

Lino Vivoda

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