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Balcani: il passato è ancora presente (Il Piccolo 22 mar)

La Conferenza dei Paesi dei Balcani occidentali sull’integrazione europea dell’area, si è aperta a Brdo, in Slovenia. Non era però presente la Serbia, che ha rifiutato di partecipare accanto ai rappresentanti ufficiali dello Stato del Kosovo, la cui indipendenza non riconosce. L’iniziativa di convocare la Conferenza, assunta congiuntamente da Slovenia e Croazia, è nata in un momento in cui le relazioni tra i due Paesi sono sostanzialmente migliorate, con l’individuazione di un percorso comune che dovrebbe condurre a un arbitrato internazionale sul contenzioso frontaliero. L’evento doveva quindi segnalare oltre che il  consolidamento del nuovo rapporto bilaterale, anche il ruolo specifico che i due Paesi avrebbero inteso svolgere nella cooperazione economica e nell’integrazione europea dei Balcani occidentali. A tal fine era stata coinvolta fin dall’inizio la Serbia, principale Paese dell’area ormai orientato verso l’Ue.

Questo progetto si è però scontrato con la complessità balcanica e con i tempi che essa richiede per attenuare, se non risolvere, situazioni la cui evoluzione deve fare i conti con un passato ancora molto presente. Il Kosovo, Stato indipendente dal 17 febbraio 2008, essendo stato riconosciuto da ambedue i Paesi organizzatori della Conferenza, non poteva che presentarsi come tale, con il suo Primo ministro. Ma per la Serbia che non riconosce l’indipendenza del Kosovo, una presenza in questa forma non risultava accettabile. Essa chiedeva, per partecipare, che il Kosovo fosse presente con la dizione Kosovo -UNMIK (cioè nel quadro della missione ONU che opera nel Paese dopo gli accordi del 1999), per evitare ogni interpretazione su un suo seppur implicito riconoscimento.

L’assenza della Serbia alla Conferenza ne diminuisce indubbiamente l’interesse regionale sotto il profilo della possibile collaborazione nell’area. D’altra parte il comportamento della Serbia, già messo in atto in recenti occasioni (Il presidente serbo Boris Tadic non aveva presenziato all’investitura del nuovo presidente croato Ivo Josipovic a causa della partecipazione dei rappresentanti ufficiali dello stato del Kosovo; il Ministro serbo degli interni Ivica Dacic aveva abbandonato, per lo stesso motivo, una conferenza sulla sicurezza delle frontiere) è comprensibile, tenuto conto degli attuali difficili equilibri politici interni.

Quest'ultima posizione può essere ritenuta ancora oggi maggioritaria e trasversale agli schieramenti politici. Recentemente perfino il ministro degli esteri dell'attuale governo, Vuk Jeremic, ha dichiarato che se la scelta fosse tra il Kosovo e l'Europa egli opterebbe per il primo. In realtà troppo poco tempo è passato per chi ha partecipato alle vicende dell'era Milosevic e all'epilogo della guerra del 1999. Questo limite impedisce ancora alla Serbia di assumere, anche nel suo interesse, comportamenti spesso usuali nelle relazioni internazionali. In passato, situazioni quali, il non riconoscimento della Germania orientale da parte della Germania occidentale, la rivendicazione da parte dell'Italia della Zona B del TLT nei confronti della Iugoslavia, la questione delle due Irlande, hanno costituito casi differenti di contenziosi internazionali che sono però convissuti con forme di dialogo comprendenti accordi bilaterali e anche visite a livello di esponenti di governo, ferme restando le reciproche posizioni. Questa difficoltà di dialogo e di relazioni della Serbia è accentuata dal fatto che la maggioranza dei paesi dell'area ha riconosciuto il Kosovo (è prossima l'apertura anche dell'ambasciata della Macedonia a Pristina) e da circostanze che consentono al Kosovo, benché riconosciuto solo da una parte dei membri dell'ONU, di partecipare ormai ad alcune riunioni internazionali e di agire come un soggetto autonomo internazionale (recentemente ha firmato un primo accordo per un credito con la Banca Mondiale). Nei Balcani questo disagio si aggiunge a quelli derivanti da altri contenziosi o dispute. La Grecia contesta il nome della Repubblica di Macedonia e impedisce l'apertura di negoziati di adesione all'UE del paese, benché esso sia candidato dal 2005. La Bosnia-Erzegovina resta in una situazione incerta e tesa, alla ricerca di una nuova forma di stato più funzionale ed efficiente, che non riduca però le competenze già concesse con gli accordi di Dayton alle sue tre componenti. Ma, anche dal punto di vista dell'UE, le incertezze non sono minori.

Tra i suoi Stati membri, 22 su 27 hanno riconosciuto il Kosovo. Se sarà convocata a giugno una conferenza dei ministri degli esteri dell'UE e dei Balcani occidentali (presenti Stati Uniti e Russia), la Spagna, Presidente di turno, che non ha riconosciuto il Kosovo, potrebbe chiedere che quest'ultimo sia presente nel quadro dell'ONU. Si tratterebbe di una rivincita per la Serbia, ma effimera. Nella domanda di adesione all'UE la Serbia dovrà infatti definire la sua estensione territoriale, e questa, nel quadro dell'adesione, dovrebbe essere accolta all'unanimità da Stati che hanno avuto comportamenti diversi sul riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo. La situazione resta quindi complessa. Nel tempo ci potranno essere mutamenti più realistici nei comportamenti della Serbia e forse nuovi accordi. Ma, intanto, in una UE alquanto disarticolata, alle prese con una crescente disoccupazione e con i problemi dell'euro, l'allargamento, al di là di alcune ripetitive dichiarazioni di ministri o funzionari, non appare essere una priorità. Anzi, la"fatica da allargamento" ha imposto, dopo i casi di Romania e Bulgaria, più severi criteri per le nuove adesioni. Tra questi, di fondamentale importanza risulta ora anche lo stabilimento di buone relazioni con i vicini. Per i Balcani occidentali si tratta di una prospettiva dai tempi incerti, legati in gran parte alle loro volontà e possibilità. All'Europa, se vuole raggiungere obiettivi di sicurezza e di stabilità nell'area, spetta quantomeno di operare affinché i tempi necessari possano essere trovati entro binari di integrazione certi, cioè contrattuali, come sono gli Accordi di Stabilizzazione e Associazione. E' un processo che sta sviluppandosi, anche se non ancora nel caso della Serbia. Per il resto, l'Europa può e deve impegnarsi ad incentivare e aiutare la realizzazione del contenuto degli accordi e lo sviluppo di buoni rapporti di vicinato, ma non dovrebbe illudere i Balcani su facili o rapide adesioni.

La vittoria del partito democratico del presidente Tadic e la coalizione attuale con i socialisti (che fu il partito di Slobodan Milosevic), sono stati il risultato precario(poco sopra il 50% dei voti espressi) di una campagna elettorale quasi referendaria sull'assunto che l'Europa non ha alternative. Ma, nel contempo, l'altro tema che ha consentito la vittoria è stato la rivendicazione del Kosovo e quindi la negazione di una sua eventuale indipendenza.

Tito Favaretto

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