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Auguri ? (Voce del Popolo 02 gen)

di Aljoša Curavić

Con i tempi che corrono chissà se è il caso di fare gli auguri di buon anno. La verità è che i venti che tirano sono tutto fuorché forieri di buoni auspici. Soprattutto per le minoranze, gli anelli deboli della società. Gli scemi del villaggio. Gli agnelli sacrificali di storie manipolate, disossate, scarnificate, fasulle. Da quando ho una coscienza minoritaria ho imparato una verità sacrosanta, e cioè: quando si parla bene di una minoranza quella minoranza è a rischio. La minoranza italiana in Istria è a rischio da oltre sessant'anni. Come lo è a rischio un pontone su cui si traghetta materiale esplosivo.

Di solito gli auguri si fanno a seguito di un bilancio, di una conta soppesata tra l'avanzo e il disavanzo di una vita spesa bene o male. Alla resa dei conti ognuno tira le somme per se stesso, in silenzio. Come collettività abbiamo il dovere, ognuno di noi, di fare il punto della situazione a voce alta. In base a ciò che ci lasciamo alle spalle non abbiamo un grande futuro davanti a noi. L'anno di grazia duemila e nove, da questo punto di vista, non sarà altro che la somma delle carità sommate ai buchi delle finanziarie sommate alla crisi globale sommata ai paternalismi di sinistra e di destra. Ma questo è il meno. Il peggio viene dall'odio etnico e razziale, che non è strisciante, ma reale e che ci tocca da vicino, anche se facciamo finta di essere altrove.

Ho appreso con soddisfazione della conferenza stampa dei vertici dell'Unione italiana sul contenzioso confinario sloveno-croato. In un contenzioso che qualcuno vorrebbe trasformare in un campo minato, la minoranza italiana ne sta uscendo come il soggetto più propositivo e positivo, anche se le diplomazie, che si contendono il territorio che hanno ereditato, fanno finta che la minoranza italiana non esista, se non per traghettare discorsi sciropposi, strumentali a politiche individuali, paternalistiche, nazionalistiche o nano-imperiali. Basti vedere cosa scrivono gli opinionisti di palazzo quando scrivono dell'italianità di queste terre, oppure le cateratte di odio che si sono aperte in rete dopo la conferenza stampa dei vertici dell'Unione italiana a Capodistria.

Ho letto su questo giornale che un mio esimio collega vorrebbe spegnere Radio e Tv Capodistria, le due voci storiche della comunità nazionale italiana. C'è chi vorrebbe le due emittenti fuori dal sistema pubblico radiotelevisivo della Slovenia con l'unico scopo di abbassare i costi dello Stato nei confronti della minoranza e annacquare l'italianità dei programmi con dosi massicce di pseudo multilinguismo istriano. Quest'anno Radio Capodistria compie sessanta anni. Anni in cui è successo tutto e il contrario di tutto, ma soprattutto anni in cui, dopo le nebbie del regime e nel pieno degli tzunami nazionalistici, è riuscita a sopravvivere con dignità e correttezza professionale. Cosa rara nel giornalismo di queste terre.

Comunque sia, auguri e attenti a chi parla bene di voi.

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