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Applausi e perplessità per gli ”Italiani sbagliati” (Voce del Popolo 28 gen)

TRIESTE – È probabilmente la prima opera filmica dedicata alla nostra realtà, alle decisioni dei nostri genitori e nonni, i quali senza tener conto degli sconvolgimenti sociopolitici, scelsero di non seguire la via dell’esodo bensì di rimanere nella propria terra, a cui appartenevano da secoli. Stiamo parlando del lungometraggio a carattere documentario “Italiani sbagliati – Storia e storie dei rimasti”, il cui debutto in anteprima si è tenuto lo scorso martedì al Cinema Ariston di Trieste.
La proiezione del lungometraggio diretto da Diego Cenetiempo e prodotto da “Pilgrim Film“ e da “Il Ramo d’Oro Editore”, è stata inserita nell’ambito della XXI edizione del Trieste Film Festival, nella categoria Zone di Cinema. Particolare categoria dedicata al territorio di Trieste e a tutta l’area geografica dell’Alto Adriatico con i suoi confini che nel corso della storia, innumerevoli volte ha cambiato fisionomia indipendentemente dal volere delle persone che abitavano le terre, segnando però la loro esistenza in modo indelebile.

La nostra storia

La creazione di Diego e Francesco Cenetiempo (regista e sceneggiatore) è un piccolo gioiello di emozioni, fatti storici e altri avvenimenti che ci interessano da vicino. L’opera, della durata di 54 minuti, inizialmente ripercorre, attraverso filmati d’epoca e altre riprese, la tragica pagina dell’esodo che ha interessato le nostre terre, per dare poi ampio spazio, attraverso una serie di interviste, alla componente che nonostante tutto e per i motivi più svariati e disparati, ha deciso di rimanere. Scelte dovute alle volte a decisioni autonome, altre volte invece risultato di costrizioni.
I protagonisti, dunque, sono i “rimasti”, le loro storie personali e pubbliche, i loro rimpianti e le loro contraddizioni. Le loro testimonianze nel vedere cambiare la fisionomia del proprio territorio e con essa la lingua, i nomi dei luoghi, la componente sociale e le istituzioni. A difendere le scelte di questo “popolo di rimasti”, sono alcune delle voci più profonde e di maggiore risonanza culturale e filosofica della CNI: Ester Sardoz Barlessi, Mario Schiavato, Claudio Ugussi, Giacomo Scotti, Alessandro Damiani e Nelida Milani. Questi raccontano cosa significò, in seguito alla catastrofe sociopolitica del ’45, continuare a operare in Istria, Quarnero e Dalmazia, per il mantenimento e il rafforzamento della nostra lingua e cultura. Tutti loro lo fecero impugnando la penna, “per tramandare – come afferma la scrittrice e poetessa polese Ester Sardoz Barlessi – quei gridi di terrore, di lacerazione, alle giovani generazioni in modo da conoscere il proprio passato, perché senza questo non si è niente”. Il lungometraggio si avvale pure degli interventi del presidente della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul, del docente dell’Università Juraj Dobrila di Pola, Elis Deghenghi Olujić, del direttore della casa editrice EDIT, Silvio Forza e del direttore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Giovanni Radossi.
Il regista Diego Cenetiempo alla proiezione ha riassunto ai numerosi spettatori il significato del titolo: “‘Italiani sbagliati’ è la definizione che lo scrittore capodistriano Pier Antonio Quarantotti Gambini, diede dalle onde di Radio Venezia Giulia, al popolo italiano che a seguito della II guerra mondiale, decise di non esodare dall’Istria e da Fiume. Mi piaceva poi aggiungere l’epiteto di ‘Storia e Storie’ perché l’intento principale dell’opera è di raccontare un importante episodio storico attraverso la storia dei singoli testimoni”, ha concluso Cenetiempo.

Le opinioni del pubblico

Subito dopo la proiezione abbiamo raccolto a caldo i pareri degli spettatori. Pensieri che, come si vedrà, spaziano da disapprovazioni a consensi. Alla prima schiera appartiene il commento di un esule di Pola, che ha preferito rimanere anonimo. “I soggetti scelti per questa intervista non documentano la storicità del fenomeno – ha detto il signore –. L’unica a trasmettere genuinità è stata Ester Sardoz Barlessi, la quale è riuscita ad affrontare argomentazioni che continuano a vivere, rivisitandole nel tempo. Vere cicatrici che tuttora porta con sé. Gli altri non sono riusciti a trasmettere questa realtà storica e personale, anche perché non sono fenomeni indigeni e quindi non possono trasmettere l’essenza istriana”, ha concluso.
“Sono un po’ perplessa – ha commentato invece la sociologa zagabrese Melita Richter –. Sicuramente è un importante filmato, ma siccome conosco le vicende di alcuni, come quella di Giacomo Scotti, so che dietro ci sono altre storie e ideali. Non approvo poi il fatto che quando si parla della lingua sembra che il croato a Fiume o in Istria non ci sia mai stato. Come se la parlata arrivasse solo in seguito al ’45, con i bosniaci e i serbi, come se la popolazione urbana di Fiume non fosse stata anche croata, ungherese e di altre minoranze ancora. Sembra che tutti questi territori avessero avuto uno svuotamento e poi un riempimento, mentre, come sappiamo, c’era una convivenza durata per molti secoli, tra italiani, croati e ungheresi, dovuta anche alla situazione di prosperità finanziaria. Tutti gli intervistati sono poi perfettamente bilingui, e quindi hanno assorbito il valore di un’altra cultura. Ritengo siano aspetti che andavano inclusi nella pellicola per renderla più oggettiva”.
Secondo Carlo Dellabella “il filmato andava documentato di più, in modo da esporre le scelte politiche di chi non è andato via. Soprattutto perché una volta vista l’opera, si ha la sensazione che quasi tutti siano rimasti controvoglia, mentre la verità è che tanti hanno scelto di restare accecati dall’ideologia comunista”, ha detto lo spettatore.
Più orientati al beneplacito gli altri commenti, come quello di Giorgetta Dorfles, che inizialmente ha affermato “si è troppo insistito sui filmati d’epoca, che in certi punti appesantiscono l’intera opera. Avrei preferito vedere un montaggio più rapido e più scorrevole”, ha precisato, lodando però in conclusione le interviste, che ha trovato “molto interessanti e commoventi, anche per capacitarsi delle scelte dei rimasti”. Dello stesso avviso Luisa Conversano: “L’opera è intrigante, a tratti un po’ nostalgica, con alcune pecche di testimonianze; tuttavia riesce nell’intento di trasmettere il pensiero di chi è rimasto”.
“Ho trovato il documentario bello e interessante – spiega invece Paolo Palasco –. Ho tanti amici che hanno dovuto affrontare la tragica via dell’esodo, quindi conosco bene la loro storia e ho grande piacere nel vedere che sia stata affrontata, soprattutto per mano di un giovane, come il regista Diego Cenetiempo. Devo dire anche che per la prima volta ho assistito alle testimonianze dei cosiddetti ‘rimasti’, perché finora abbiamo sempre sentito solamente le voci degli esuli”, ha concluso Palasco. Breve ma conciso il pensiero di Stelio Spararo: “È un documentario che ci aiuta a capire i tanti fatti storici che per i motivi più svariati vengono spesso taciuti. È un bene che la storia sia tramandata attraverso la raccolta di testimonianze dirette come questa”.
Tra gli spettatori vi era anche lo storico italiano, professore di Storia Contemporanea all’Università di Trieste, Raoul Pupo, considerato uno dei massimi conoscitori del fenomeno delle foibe e dell’esodo. Raggiunto per l’occasione, ecco cosa ci ha detto: “La pellicola di Diego Cenetiempo è un lavoro storicamente molto equilibrato e corretto. Può essere molto utile a quella parte del pubblico che non è a conoscenza di queste tragiche vicende. Inoltre, offre la dimensione della complessità del popolo istriano e fiumano. In definitiva è un contributo importante per tutti gli italiani”, ha dichiarato Pupo.

Gianfranco Miksa

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