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Ansa – 04.05.08 – Premier Montenegro chiede aiuto a Italia per UE

di Alessandro Logroscino

PODGORICA – Un piccolo Paese in crescita economica, incamminato di buon passo verso l'Unione Europea e la Nato e che guarda all'Italia come a un vicino naturale. Ma senza trascurare le fibrillazioni dei Balcani di cui fa parte, né i riemergenti legami a Oriente e "la secolare amicizia" con il grande fratello slavo-ortodosso russo. E' questo il Montenegro di oggi e di domani nelle parole di un'intervista all'ANSA di Milo Djukanovic, premier e padre dell'indipendenza della più piccola delle repubbliche ex jugoslave. Un uomo che a soli 46 anni è già un veterano e uno dei leader più scaltri dell'intero scacchiere politico balcanico: con oltre tre lustri di vita pubblica alle spalle, la fama d'aver tenuto testa a suo tempo a Slobodan Milosevic, una salda consuetudine al potere confermata dal recente ritorno sullo scranno di primo ministro. E la convinzione d'aver chiarito in questi giorni una volta per tutte – dopo una deposizione spontanea – i sospetti della procura di Bari su vicende di contrabbando legate ai turbolenti anni '90. A due anni dal referendum del 21 maggio 2006, che suggello' il divorzio da Belgrado, Djukanovic presenta oggi l'esempio montenegrino come un esperimento riuscito: "un modello" – dice – per i Balcani in cerca di stabilità. "Siamo molto soddisfatti del bilancio di questi due anni", esordisce elencando "i successi" ottenuti: sul fronte interno, un tasso di crescita del Pil salito a oltre l'8% annuo e l'incremento degli investimenti stranieri (nel turismo in primis) a un livello che in proporzione "é il più elevato della regione"; su quello della politica estera, i progressi di uno Stato giovane che "ha già sottoscritto il primo rapporto contrattuale con l'Ue tramite l'Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa) ed è inserito nella Partnership for peace della Nato". Gradini decisivi per giungere all'obiettivo strategico della piena integrazione con Bruxelles, lungo un cammino che non potrà non avere anche una dimensione regionale, ma che Podgorica sta affrontando dal 2006 a un ritmo più spedito di Belgrado o di Sarajevo. In vista dell'approdo finale, Djukanovic guarda all'Italia come a uno dei "Paesi più vicini", oltre che come "un importante partner commerciale", in grado di facilitare il percorso. E non tralascia di rivolgere "le più cordiali congratulazioni a Silvio Berlusconi per la vittoria elettorale, che ha confermato le aspettative del popolo italiano e dell'opinione pubblica internazionale". Quanto alla faccenda dell'inchiesta barese – che alcune indiscrezioni indicano prossima a un'archiviazione – Djukanovic taglia corto: "L'ho detto molte volte, le affermazioni secondo cui il Montenegro avrebbe tollerato e organizzato in quanto Stato un traffico illegale di sigarette nacquero come una manovra di Belgrado (al tempo del regime di Milosevic, ndr) con l'obiettivo d'infangare il nostro desiderio d'indipendenza di fronte al mondo. Uno schiamazzo da politicanti durato diversi anni e che ha raggiunto l'Italia fino ad alimentare, probabilmente, un'erronea percezione del ruolo del nostro governo". "Per quanto ci riguarda, tuttavia, sulla sponda montenegrina ha sempre avuto luogo un regolare transito di sigarette, conforme alle norme dell'allora Repubblica federale jugoslava", nota il premier, precisando d'aver voluto deporre a Bari proprio per "chiarire le cose in modo più oggettivo" e diradare ogni nube nei rapporti bilaterali. Qualche nube, viceversa, continua ad addensarsi sulle speranze di definitiva normalizzazione dei Balcani, dopo le lacerazioni del decennio passato. A pesare è ora soprattutto la ferita della secessione unilaterale da Belgrado di due mesi e mezzo fa della provincia a maggioranza albanese del Kosovo. Un epilogo che il leader di Podgorica tiene a distinguere da quello del Montenegro (Stato indipendente già nel 1878 e poi repubblica jugoslava con diritto all'autodeterminazione, puntualizza) descrivendo i due dossier come "completamente diversi". E che tuttavia giudica "prevedibile, in considerazione delle radici decennali del problema" kosovaro. A giustificare la cautela del suo governo rispetto a un riconoscimento diplomatico affrettato dello strappo di Pristina, Djukanovic osserva d'altro canto che non si può non tener conto del fatto che la Serbia, attesa l'11 maggio da una cruciale sfida elettorale fra europeisti e nazionalisti, "é molto sensibile a questo tema. E che, oggettivamente, la sua popolazione non era preparata" al trauma. Sul futuro, in ogni caso, il premier montenegrino – rassicurato anche dalla recentissima firma dell'Asa fra Serbia e Ue – si sente di spendere un gettone d'ottimismo. "L'emotività" può comportare qualche rischio, ammette. "Ciononostante – rimarca -, se il dossier sarà affrontato con la sensibilità necessaria, confido che la rinnovata stabilità e sicurezza della regione non verranno compromesse".

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